Via libera del governo alle misure sulle liste d’attesa. Mariolina Castellone, vicepresidente M5S del Senato, ci si ricorda della sanità in campagna elettorale?
“Assolutamente sì, aspettiamo di leggere i testi definitivi ma temo che non avendo fondi o meglio, non avendo il coraggio di reperire le risorse lì dove ci sono, per esempio dagli extra profitti bancari, si stia preparando un ennesimo gioco delle tre carte inserendo le misure necessarie in un disegno di legge, che chissà quando vedrà la luce, e lasciando poche cose a costo zero in un decreto che ha la riduzione delle liste d’attesa solo nel titolo. Il punto è che il Ssn ha bisogno di personale: questa è la carenza più drammatica che abbiamo, se si considera che mancano almeno 70mila infermieri e 20mila medici ospedalieri e moltissimi medici di medicina generale andranno in pensione nei prossimi anni. Purtroppo vige ancora quel tetto di assunzioni in sanità introdotto dall’allora governo Berlusconi nel 2004, che impedisce alle Regioni di andare a colmare i vuoti che ci sono di fabbisogno di personale in base al fabbisogno di salute della popolazione. Qualsiasi decreto per ridurre le liste d’attesa che non preveda l’assunzione di personale è pura propaganda”.
Il ministro Schillaci ha detto che il tetto verrà abolito dal 2025…
“Staremo a vedere. Lo aveva già promesso. Ma finora l’unico superamento del tetto per l’assunzione di personale è stato fatto nei nostri governi col decreto Calabria e poi prorogato durante l’emergenza Covid. In legge di Bilancio dove pure si poteva fare è stato invece previsto solo il superamento del tetto di spesa per il privato convenzionato. Eppure avevamo proposto, anche in Manovra, moltissimi emendamenti che provavano a dare soluzioni su come ridurre le liste di attesa, partendo dal presupposto che tutti gli interventi efficaci nel ridurre le liste d’attesa devono comunque operare su due fronti: da una parte assumere personale, dall’altra spostare alcune prestazioni dagli ospedali al territorio. Per fare quest’ultima cosa, uno strumento ce l’abbiamo: completare la riforma della sanità territoriale prevista nel Pnrr. Purtroppo vedere che ad oggi il governo è riuscito a spendere solo il 4% dei fondi Pnrr destinati alla missione 6 relativa alla salute che aveva due obiettivi principali – la digitalizzazione e la creazione del filtro territoriale con le case e gli ospedali di comunità – è sconfortante. È un peccato rischiare di non utilizzare quelle risorse necessarie per creare le strutture territoriali in cui possono essere gestite molte prestazioni che non hanno bisogno di essere svolte in ospedale”.
In questo decreto l’unica misura che richiede una copertura è quella che riduce le tasse al 15% per i medici che fanno intramoenia.
“Il problema è che non ci sono soldi perché non si vogliono prenderli dove ci sono, dall’evasione fiscale per esempio o dagli extraprofitti. I provvedimenti di questo governo sono tutti a costo zero. La stessa Autonomia differenziata che per garantire i Lep avrebbe bisogno di una copertura di 100 miliardi – è la stima di Svimez – sta per essere approvata a invarianza di spesa, a costo zero. Nei momenti di grande fragilità sociale come quello che stiamo vivendo, in cui la sanità è un bene di lusso, servirebbe il coraggio di prendere le risorse lì dove si annidano. Ma questo governo questo coraggio evidentemente non lo ha”.
Nel decreto ci sono solo alcune misure, come il Cup nazionale, il resto è rinviato al successivo ddl.
“Solito gioco delle tre carte. Cup nazionale bene, era anche una nostra proposta in Manovra. Ma il resto, quello che serve alla sanità, non c’è. Non ci sono i soldi per il personale. Non ci sono vincoli per i direttori generali sulla riduzione delle liste d’attesa. Non c’è nulla per la medicina generale e sappiamo quanto questa abbia bisogno di una revisione profonda per rispondere meglio ad una nuova idea di assistenza sanitaria di prossimità e per evitare l’intasamento dei pronto soccorso ospedalieri”.
Alcune misure, come le visite nel weekend, sono criticate dalle associazioni di categoria.
“Certo. Quando abbiamo fatto le audizioni per la legge di Bilancio tutte le categorie delle professioni sanitarie ci hanno detto che lavorare più di quanto facciano ora non è possibile. Infatti i soldi stanziati per accorciare le liste d’attesa sono rimasti inutilizzati in gran parte perché non basta pagare di più gli straordinari o tenere aperti di più gli ambulatori, facendo lavorare di più sempre lo stesso personale che è già stremato. Bisogna incrementare gli organici. D’altro canto aumentare ulteriormente il tetto per il privato convenzionato, come è stato fatto in legge di Bilancio, sembra la solita ricetta di questo governo che anziché fare ciò che serve alla sanità pubblica continua a finanziare la sanità privata”.
La Lega ha esultato: “L’era di Speranza (Roberto, ex ministro nella scorsa legislatura, ndr) è alle spalle”.
“Mi chiedo per cosa esulti. Nella scorsa legislatura sono stati stanziati più fondi di sempre: 13 miliardi di euro aggiunti al fondo sanitario nazionale più 16 miliardi previsti per la salute nel Pnrr, è stato superato il blocco delle assunzioni con il decreto Calabria, sono state raddoppiate le specializzazioni ed è partita la riforma della medicina territoriale. Ad oggi con questo governo abbiamo registrato solo un netto definanziamento della sanità pubblica: siamo scesi al 6,3 % di Pil, meno di quanto si spendesse prima della pandemia. Per cosa esulta la Lega?”
E ora l’Autonomia differenziata sta andando in porto.
“Un grande pastrocchio. Nel frastuono della campagna elettorale si va avanti con questo disegno scellerato che soprattutto in sanità andrà a rendere strutturali i divari esistenti che già oggi obbligano oltre 4 milioni di italiani a rinunciare alle cure e fanno spendere al nostro Paese oltre 4 miliardi di euro all’anno di migrazione sanitaria, perché ci sono persone che non possono curarsi nelle Regioni in cui vivono. Io sono molto preoccupata perché è a rischio il diritto costituzionale più sacro che c’è: quello alla tutela della salute. Eppure un modo di distribuire meglio le risorse ci sarebbe, noi per esempio avevamo proposto già nella passata legislatura di cambiare i criteri di riparto del fondo sanitario nazionale che oggi viene distribuito soprattutto in base a quante prestazioni sono state erogate nell’anno precedente. Visti i divari esistenti andrebbero considerate anche la deprivazione sociale, il tasso di disoccupazione, la povertà, altrimenti si penalizzano sempre i cittadini più fragili”.