Quando nel 2019 sei agenti della polizia penitenziaria in servizio al carcere Lorusso e Cutugno di Torino sono stati arrestati, Matteo Salvini li difendeva a spada tratta. L’accusa era quella di ripetuti atti di violenza e tortura nei confronti dei detenuti nel periodo tra aprile 2017 e novembre 2018. Un’accusa piuttosto grave: il reato contestato (in base all’articolo 613bis del codice penale) è punito con la reclusione da 4 a 10 anni.
Nelle carte dei pubblici ministeri che hanno indagato sui sei agenti si parla di minacce, di detenuti presi a schiaffi e sputi, malmenati, denudati e insultati. Lui aveva già deciso che erano innocenti: “Non è possibile credere più ai carcerati che ai poliziotti”, disse.
Si sbagliava. Lo stesso è accaduto per gli agenti del carcere di San Gimignano condannati per tortura e lesioni aggravate contro un detenuto: si tratta di un pestaggio avvenuto ai danni di un 31enne tunisino durante un trasferimento coatto di cella. Le violenze sono documentate in un video.
Ma per Salvini questo non basta, come non basta la sentenza di condanna del tribunale di Siena, ché secondo il leader della Lega si trattava del “primo caso al mondo di tortura postdatato di 13 mesi e senza torturato”. Salvini strumentalizzava il fatto che il detenuto, per paura di ritorsioni, non ha mai denunciato quanto accaduto. Il caso è scoppiato dopo che un’operatrice del carcere ha scritto una lettera al tribunale di sorveglianza.
Nel 2020 stessa storia. “Le forze di polizia devono avere libertà assoluta di azione, se devono prendere per il collo un delinquente e questo si sbuccia il ginocchio o si rompe una gamba sono cazzi suoi, ci pensava prima di fare il delinquente”, disse appoggiando la protesta contro l’introduzione del reato di tortura. “Il primo delinquente di turno li può denunciare per essere stato arrestato con troppa irruenza o psicologicamente torturato”, disse Salvini.
Dalla parte sbagliata
Quando a Caserta quell’anno scoppiò il finimondo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere Salvini ci spiegò che era “una follia” che a “pagare per tortura devono essere i poliziotti che hanno riportato in cella i delinquenti”. Quel giorno quasi trecento agenti della polizia penitenziaria muniti di caschi e manganelli, alcuni a volto coperto, fecero irruzione nelle celle e per ore presero a calci, pugni e schiaffi i detenuti del reparto Nilo.
Il carcere campano è al centro di un processo che ha visto il rinvio a giudizio davanti alla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere di 105 imputati. I reati contestati a vario titolo vanno dall’omicidio colposo come conseguenza di tortura alle lesioni pluriaggravate, passando per l’abuso di autorità e il falso in atto pubblico.
Ora Salvini è al governo e che succede? La legge di Bilancio prevede 35 milioni di euro in meno per i prossimi tre anni per l’amministrazione penitenziaria. “Siamo veramente incazzati”, dice Donato Capece, segretario generale del Sappe: ”ci hanno chiesto i voti e ora tagliano i fondi”.
“Gli agenti sono increduli e disillusi, ci aspettavamo fondi per rendere possibile il servizio, in questo momento non lo è, non è solo questione delle unità mancanti, anche i 36mila agenti in servizio non hanno la dotazione adeguata: scarpe, equipaggiamenti, formazione. Non si capisce perché promettono e poi non solo non mantengono, ma tagliano: dieci milioni nel 2023, quindici nel 2024, undici dal 2025”, dice Gennarino De Fazio, segretario del sindacato di polizia penitenziaria della Uil.
È il metodo Salvini: propaganda che tanto è gratis e poi nullafacenza. Fino alla prossima difesa d’ufficio. Tanto qualcuno in questo Paese ci casca ancora.