Le parole hanno i loro vezzi, le loro mode, la loro intima esistenza e si evolvono darwinianamente facendosi spazio a colpi di adattabilità nella semantosfera linguistica. Da qualche tempo abbiamo assistito, ad esempio, all’ascensa di un termine, “resilienza”, che nato in ambiente psicologico e poi adottato dal coaching è diventato molto usuale. Ormai anche un caffè è resiliente.
Salvini e Renzi: il bislacco rinascimento populista dei due Mattei
Ora all’orizzonte ce n’è un altro che sta preoccupantemente facendo passi da giganti nell’alfabeto immaginario di una ignoranza collettiva: “nuovo Rinascimento”. Matteo Renzi se ne è uscito con un imbarazzante “Rinascimento arabo” mentre Matteo Salvini ha coniato un bislacco “Rinascimento europeo”. Da due populisti demagoghi come i due Mattei cosa altro ci si poteva in effetti aspettare? Infatti, non solo il termine Rinascimento dovrebbe essere usato con rispetto e parsimonia per quello che ha significato per la storia del nostro Paese. Ma proprio l’applicazione a due Stati come l’Arabia Saudita e l’Ungheria ne fa scempio.
Renzi, fuggito dal Senato in piena crisi di governo da lui stesso provocata, parlò di “Rinascimento arabo” quando si trovava ad un convegno foraggiato dal principe Mohammed Bin Salman, fortemente sospettato di aver ucciso e poi smembrato un giornalista del Washington Post. Nulla dunque di più lontano dalla bellezza e delicatezza artistica dei temi rinascimentali. Matteo Salvini invece, per non essere da meno, ha parlato di “Rinascimento europeo” ad un incontro tenutosi pochi giorni fa a Budapest tra lui e il Primo Ministro dell’Ungheria Viktor Orbán e il premier polacco Mateusz Morawiecki, non certo campioni di democrazia nei loro Paesi.
Un segnale inquietante di appropriazione indebita
E quindi si costruisce non solo un collegamento semantico della stessa parola, “Rinascimento”, usata a sproposito, ma vieppiù tale collegamento si riferisce proprio all’esatto opposto di quello che è stato il Rinascimento e cioè bellezza, armonia e gioia. E proprio questa volontà di storcere, di piegare, di falsificare desta meraviglia per un mondo ormai alla rovescia che si impossessa di concetti positivi per trasformali nel loro esatto opposto. Non è un bel segnale, non è un buon indicatore di progresso questo superficiale accanimento linguistico che i due Mattei hanno mostrato in rapida sequenza.
Si tratta di un segnale inquietante di appropriazione indebita di un bene prezioso. Una parola che è patrimonio comune di tutti gli italiani. E non solo – come detto – è stata usata a sproposito. Ma anche violentata nella più sua intima essenza di significato e cioè semiotica. Un’azione barbara e oscura, portata a termine con quella superficialità del parolaio, del pifferaio involuto, del maestro di metalli falsi, dell’imbonitore di campagna, del beone da osteria su di giri che si mette a giocare con la coscienza collettiva. E questa superficialità deve preoccupare.
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L’epiteto bislacco di Salvini
Questo fregarsene della logica, del buon senso. Il non temere più il giudizio pubblico, il non temere più alcuna contraddizione, lo sfidare l’evidenza con spavalda tracotanza. Questo violare il tempio della semiologia per i propri bassi interessi di bottega è il segno di tempi degradati e volgari. In cui le chiacchiere, l’assonanza, la rima stupida, l’epiteto bislacco hanno preso impunemente il posto della serie riflessione, della presentazione ponderata e logica dei propri argomenti. Il populismo è degenerazione della democrazia come già gli antichi greci avevano notato e studiato. Platone ne ricostruisce la genesi e il percorso tipico, il cui arrivo è, da secoli, la dittatura preceduta sempre da inquietanti fenomeni linguistici.