Stai a vedere che Matteo Salvini è riuscito a fare peggio di Matteo Renzi. Strano destino il loro che oltre a condividere il nome di battesimo – e sempre più spesso anche scelte politiche –, da ieri hanno in comune pure la débâcle al referendum. L’ex premier nel 2016 era all’apice della sua carriera politica, personalizzando la consultazione popolare per confermare la sua riforma costituzionale, andò incontro a una rovinosa sconfitta per la quale arrivò ad annunciare di volersi ritirare a vita privata, cosa che non si è mai concretizzata, e dopo a dimettersi da presidente del Consiglio.
All’apparenza è meno drammatica la situazione del leader della Lega che, semmai dovesse cospargersi il capo di cenere per il flop totale dei cinque quesiti sulla Giustizia, non dovrà rinunciare ad alcun ruolo nel governo. Peccato che dietro all’apparenza, c’è molto altro a mettere in apprensione il Capitano che ha davanti a sé almeno due problemi giganteschi da affrontare: la leadership del Centrodestra e le tensioni interne al Carroccio.
Salvini peggio di Renzi: rischia la leadership del Centrodestra
Il primo punto è il più delicato. Ormai è chiaro che nella coalizione è in corso una lotta di potere. Questo perché l’ex re Mida della politica italiana, un tempo leader indiscusso del Centrodestra, dal Papeete in poi ha inanellato una sconcertante striscia di sconfitte. A beneficiarne è stata Giorgia Meloni, con Fratelli d’Italia che ha sorpassato la Lega, che attende la fine dello spoglio per fare la conta e scoprire chi ha conquistato più sindaci. Si tratta di quello che appare come il preludio a una resa dei conti per al leadership del Centrodestra.
Ma c’è di più. La leader di FdI ha già incassato un risultato da questa consultazione perché, pur appoggiando gran parte dei quesiti referendari, ha capito che le possibilità di raggiungere il quorum erano inesistenti e per questo non si è esposta in prima persona. Questo, molto banalmente, è il motivo per cui si parla di un fallimento per Salvini ma non per la Meloni. Al contempo e sempre per effetto di questa tornata elettorale, tra i due azionisti di maggioranza della coalizione ci sono in ballo anche altre questioni che andranno definite nei prossimi giorni.
Nervi tesi nel Centrodestra
Una di queste è la ricandidatura di Attilio Fontana alla guida della regione Lombardia che potrebbe scricchiolare se il Carroccio non dovesse affermarsi con decisione nel nord, mentre l’altra è quella per ottenere il supporto di Salvini e Silvio Berlusconi – da sempre restii – sul bis di Nello Musumeci in Sicilia. Che quest’ultima sia una partita fondamentale per l’intera coalizione lo ha fatto capire proprio la Meloni che il primo giugno, parlando delle difficoltà nel trovare un candidato unitario in regione, aveva tuonato: “Ho accettato mio malgrado di attendere la fine delle elezioni amministrative, ma non attenderò oltre”.
Poi ha precisato: “Io non capisco perché ci siano questi tentennamenti, ho chiesto apertamente se ci fossero delle alternative e nessuno le ha. A me non è chiaro cosa sta succedendo ma sono convinta che alla fine tutti confermeranno la candidatura di Musumeci”. Il problema è che per Salvini le rogne non si limitano ai rapporti con l’alleata-rivale. Già perché con questa débâcle è facile immaginare una resa dei conti nel partito con un processo al segretario, in passato sempre rimandato, che seppure non c’è stato già ieri durante il consiglio federale della Lega, non si può escludere che non succederà a breve.
Del resto nel Carroccio non è piaciuta nemmeno la strategia usata da Salvini per arrivare al referendum. Questa da un lato si è basata su una raccolta firme e dall’altro sulla richiesta di indire la consultazione avanzata da consigli regionali in larga parte a trazione leghista. Ma il Capitano, con un colpo di teatro, non ha mai depositato le firme e ciò non ha fatto altro che ‘esporre’ i suoi stessi governatori. Non solo. Ad esacerbare gli animi anche gli ultimi mesi in cui Salvini ha accumulato diversi scivoloni, non ultimi quelli sulla guerra in Ucraina e sul viaggio a Mosca.
Esulta chi ha votato No al referendum
Quel che è certo è che davanti al fallimento della consultazione popolare, a brindare sono i sostenitori del No. Tra questi il presidente M5S, Giuseppe Conte, che fa notare come “i cittadini sono stati chiamati alle urne per votare 5 referendum. Sono stati presentati come la soluzione di tutti i mali della giustizia. In realtà, più che un serio tentativo di riformare la giustizia e migliorare il servizio ai cittadini, i quesiti referendari nascondevano una vendetta della politica contro la magistratura”.
Ma i “cittadini l’hanno capito, con il risultato che questo passaggio referendario è il meno partecipato di sempre”. Ma il presidente dei 5S mette in guardia tutti dal dire “che siamo davanti alla crisi dei referendum e della democrazia diretta”. A suo dire in realtà “siamo di fronte alla crisi di una politica più attenta a tutelare se stessa che a dare risposte alle persone”.