Si tinge di rosa la guerra di trincea che impegna i Cinque Stelle da una parte e la Lega dall’altra. Con tanto di accuse incrociate di flirtare con gli avversari. Se il vicepremier Luigi Di Maio paventa abboccamenti tra il partito di Silvio Berlusconi e la Lega di Matteo Salvini, quest’ultimo rispedisce al mittente il sospetto e rinfaccia ai pentastellati il desiderio di corteggiare il Pd.
Di buon mattino comincia il leader M5S: “Buongiorno, anche oggi la Lega minaccia di far cadere il governo. Sembra ci siano persino contatti in corso con Berlusconi per fare un altro esecutivo… L’Italia non è mica un gioco”. Gli risponde a stretto giro il collega: “Non capisco perché anche oggi l’amico Di Maio parli di crisi di governo”: questa – dice Salvini – è “solo nella sua testa”. “Luigi e gli amici grillini farebbero bene a non parlare più di porti aperti per gli immigrati, e a controllare che il reddito di cittadinanza non finisca a furbetti, delinquenti ed ex terroristi. Non vorrei che nei 5Stelle qualcuno avesse voglia di far saltare tutto e magari andare a governare con la sinistra”.
Il numero uno del Viminale ha mal tollerato le riserve M5S sulla sua campagna di marketing politico sui porti chiusi. E non ha digerito la sfida lanciatagli da Di Maio sul tema della sicurezza: la presenza sul territorio di persone da rimpatriare al centro di “condotte discutibili”. “Trovo gravissimo – insiste Di Maio – che la Lega con così tanta superficialità ogni volta che gli gira minacci di far cadere il governo. Ma poi per cosa? Per non mettere in panchina un loro sottosegretario indagato per corruzione?”.
Il numero uno del M5S continua a pigiare il tasto dolente (per la Lega) della legalità. Ricorda che fu il MoVimento a bloccare i tentativi del sottosegretario leghista Armando Siri di introdurre “alcune misure un po’ controverse” per le quali è indagato. E tiene il punto sulle dimissioni: “Siamo nati sulla questione morale e gli indagati per corruzione o per aver preso mazzette e tangenti no, non possiamo accettarli”.
La richiesta leghista perché faccia un passo indietro la sindaca Virginia Raggi – accusata da un ex manager di Ama di aver spinto per portare in rosso i conti dell’azienda capitolina che gestisce i rifiuti – viene bollata da Di Maio come “una vera e propria sceneggiata mediatica”. A cui ora si aggiunge la minaccia della Lega di ritirare il provvedimento sul debito di Roma: “Mi pare una ripicca grave, una polemica fatta sulla pelle della gente”, dice Manlio Di Stefano, sottosegretario M5S agli Affari esteri. Che ribadisce: “Il ritiro delle deleghe a Siri è un atto dovuto. C’è un’inchiesta in odore di mafia e bisogna salvaguardare le istituzioni”.
“Chiedere dimissioni sulla base di un lancio d’agenzia mi sembra lievemente azzardato”, dice il leghista Claudio Borghi, presidente della commissione bilancio della Camera. Per Salvini si è trattato di lesa maestà. Siri, che ha parlato di “rapporto umano spezzato”, ha comunque detto di essere stato avvertito da Danilo Toninelli sul ritiro delle deleghe, diversamente da quanto afferma il viceministro leghista delle Infrastrutture Edoardo Rixi a cui risulta che il ministro M5S non abbia inviato al sottosegretario neanche un sms. Nel gioco delle ripicche, Rixi rinfaccia che a Piaggio Aerospace ci siano “oltre mille dipendenti fermi senza lavoro perché i ministeri guidati dai 5S non sbloccano le commesse”. Chissà se anche questo sia vero.