Un lento logoramento, una cottura a fuoco lento. Questo ha in mente Matteo Salvini, archiviata la partita umbra con un successo oltre le più rosee aspettative, con il candidato unitario Pd-M5S staccato di venti punti tondi tondi, il Capitano guarda avanti ed elezione dopo elezione tesse la sua tela: sfiancare l’avversario, farne emergere le contraddizioni sia a livello centrale – il Governo sulla manovra non ha ancora trovato del tutto la quadra – ma soprattutto a livello locale dove i 5Stelle scontano la mancanza di una classe dirigente, il Pd che deve comunque fare i conti con la scissione renziana, vincere e possibilmente stravincere nelle prossime e imminenti elezioni regionali per arrivare all’obiettivo ultimo, il voto.
Salvini è convinto che ormai l’onda leghista non la fermi più nessuno. E potrebbe avere ragione, ma c’è un elemento che forse il Capitano fa finta di non prendere in considerazione riguardo all’ipotesi di elezioni anticipate: la posizione del Colle. Eppure la condizione posta dal capo dello Stato Sergio Mattarella non è certo nuova, risale ai giorni della crisi agostana quando lo stesso leader della Lega propose pubblicamente in Senato l’ipotesi di votare subito in aula alla Camera il sì finale alla riforma costituzionale che avrebbe tagliato di oltre un terzo il numero dei parlamentari, portando la quota dei senatori da 315 a 200 (con non più di cinque nominati a vita) e i deputati da 630 a 400.
Ebbene, la legge di riforma è stata votata lo scorso 8 ottobre e dunque vale ciò che dal Quirinale trapelò a suo tempo, cioè che sarebbe improponibile votare una legge costituzionale che modifica il Parlamento e congelarla applicandola alle elezioni tra cinque anni. E’ pur vero che entro tre mesi dall’approvazione del disegno di legge un quinto dei componenti di uno dei rami del Parlamento, cinque Consigli regionali o 500mila elettori potrebbero chiedere un referendum confermativo ma anche in quel caso l’esito non dovrebbe prevedere sorprese, sarebbe difficile che i cittadini non approvassero il taglio e in quel caso Salvini certo non potrebbe contestare una riforma da lui stesso voluta e votata.
Il calcolo è presto fatto: il via libera ha di fatto impedito il ritorno alle urne almeno fino all’estate prossima, calcolando anche i tempi per il ridisegno dei collegi elettorali più i due mesi per lo scioglimento anticipato delle camere. Quindi nella più ottimistica delle ipotesi è impossibile tecnicamente votare prima di giugno anche se la Lega dovesse espugnare a fine gennaio l’agognato feudo rosso dell’Emilia Romagna, vera cartina di tornasole per la tenuta del governo ma anche per la tenuta del Partito Democratico, già alle prese con una crisi interna – il vice segretario Andrea Orlando ritiene che sia urgente un congresso – e con un’alleanza con i 5Stelle che fa acqua da tutte le parti. In ogni caso l’ipotesi di un governo tecnico, bestia nera per i leghisti, è definitivamente scongiurata. Il voto a questo giro è inevitabile ma parlarne come se fosse imminente non è corretto.