Un claque per fingere che non sia successo niente. E tirare dritto alla guida della Lega, ricevendo il compito di “costruire un’alleanza alternativa alla sinistra”, come recita la nota finale. Matteo Salvini incassa, come era prevedibile, il sostegno unanime al consiglio federale del partito. In questo modo è stata messa un po’ di polvere sotto il tappeto dopo la disastrosa settimana che ha portato alla rielezione di Sergio Mattarella. Il Papeete bis salviniano. Sul tavolo restano comunque molti problemi, a cominciare dalla tenuta del centrodestra. Giorgia Meloni ha lanciato un altro missile contro il fortino legista.
IL SILURO. “I partiti che sostengono questo governo sono impegnati a dar vita ad alleanze e federazioni del tutto innaturali pur di sopravvivere”, ha attaccato la leader di Fratelli d’Italia. Un de profundis all’ambizione salviniana di mettere in piedi un partito repubblicano sul modello statunitense. Una trovata che è stata comunque accolta tiepidamente anche da Forza Italia, che sente odore di annessione. “Quando lo abbiamo proposto noi, qualche mese fa, nessuno ci ha dato retta. Curioso che se ne parli ora”, si ragiona tra gli azzurri.
Non è un mistero, infatti, che i forzisti guardino con interesse al centro, alla possibile evoluzione del progetto moderato, sotto l’egida di Matteo Renzi e della coppia Luigi Brugnaro-Giovanni Toti. Non è detto che nasca il polo moderato, ma al momento si tengono le mani libere. “Non si fanno le fusioni a freddo e anche le federazioni hanno un percorso preparatorio”, ha affermato il coordinatore di Fi, Antonio Tajani.
PROCESSO SCAMPATO. Il processo interno alla Lega non c’è stato, almeno in questo l’ex ministro dell’Interno ha dimostrato tempismo: prima che aumentasse il malumore interno, ha ricevuto una nuova investitura, finendo a tarallucci e vino. Il rito ufficiale non cancella il fastidio di molti dirigenti. A cominciare dai presidenti delle Regioni del nord, la triade Fedriga-Fontana-Zaia. In particolare Fedriga e Zaia hanno vissuto con insofferenza la strategia, si fa per dire, del leader leghista.
Ma al momento non si sono esposti in pubblico. Anche il numero due e ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha confermato la piena fiducia a Salvini. Non si è parlato nemmeno dell’ipotesi di dimissioni dal governo, che nel fine settimana aveva provocato qualche scossone. Per quanto riguarda il percorso dell’esecutivo, Salvini confermerà i suoi “no” al presidente del Consiglio, Mario Draghi, come quello sulla riforma del catasto e sulle restrizioni per limitare i contagi di Covid.
PARTITO PERSONALE. E del resto la contendibilità della guida non è la cosa più semplice nel Carroccio. “In un altro partito, il leader avrebbe dovuto dare le dimissioni dopo la rielezione di Mattarella. Ma ormai siamo diventati un partito personale, ci chiamiamo ufficialmente Lega per Salvini premier”, ragionava un deputato alla Camera nelle ore più difficili della trattativa per il Colle. Insomma, un destino legato a doppio filo all’ex ministro dell’Interno, che prova qualche colpo a sorpresa per riprendersi la scena. Addirittura ha provato a intestarsi la convergenza sul Capo dello Stato. “Sono contento di essere colui che ha messo fine alle ipocrisie dicendo ‘piuttosto che andare avanti con i no reciproci chiediamo un sacrificio a Mattarella’, e lo rivendico”, ha detto prima del consiglio federale. Se ci crede lui…