Tutto farebbe pensare a un nuovo caso Diciotti ma questa volta l’esito potrebbe essere diametralmente opposto. Protagonisti, ieri come oggi, è Matteo Salvini, di nuovo indagato dalla Procura di Agrigento. La nave in questione, però, è la Open Arms, che il ministro aveva trattenuto al largo di Lampedusa per venti giorni, pur avendo a bordo 164 migranti salvati in zona Sar (Search and Rescue) libica e costretti in “condizioni estreme”. Le ipotesi di reato sono sequestro di persona e omissione d’atti d’ufficio.
Il procuratore Luigi Patronaggio ha già inviato il fascicolo alla Dda di Palermo competente per valutare le accuse che dovranno adesso essere sottoposte al tribunale dei ministri: nonostante Salvini non sia più ministro, infatti, l’eventuale reato sarebbe stato commesso quando il leader leghista era titolare al Viminale. Ora tocca al procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi, decidere entro dieci giorni sul da farsi: se confermare le ipotesi di reato, riformularle o chiedere l’archiviazione.
Insomma, si tratta di una vicenda fotocopia del caso Diciotti, anche se nel caso della nave della Guardia costiera il procedimento fu poi trasferito a Catania per competenza territoriale. L’epilogo di quell’indagine su Salvini fu, come si ricorderà, il salvataggio del Parlamento che negò l’autorizzazione a procedere. Con Salvini passato all’opposizione, però, non è detto che l’esito sarà esattamente lo stesso. Anzi. Non potendo contare sui Cinque stelle e visto il clima di disamore che si respira tra pentastellati e leghisti, è più che plausibile che la maggioranza del Parlamento (Pd, Liberi e Uguali, che già votarono al tempo della Diciotti per l’autorizzazione a procedere, e Movimento) conceda l’autorizzazione a procedere.
Ma c’è un altro aspetto che differenzia la vicenda Open Arms dal caso Diciotti e, al di là della querelle politica, potrebbe realmente non concedere alibi a Salvini. Era il 20 agosto, quando Salvini aveva già staccato la spina al governo Conte 1 ma era ancora formalmente ministro, quando Patronaggio salì a bordo della Open Arms e si assunse la responsabilità di far scendere i migranti rimasti a bordo dopo uno stillicidio di evacuazioni d’urgenza ordinate dai medici. Tra le presunte prove sul tavolo del procuratore, tra l’altro, c’è anche il decreto cautelare d’urgenza del presidente di sezione del Tar del Lazio Leonardo Pasanisi che, alla vigilia di Ferragosto, aveva accolto il ricorso della Ong spagnola annullando il provvedimento di divieto di ingresso in acque territoriali italiane firmato da Salvini in virtù del decreto sicurezza-bis.
Divieto di ingresso illegittimo – fu la valutazione del Tar – perché “in violazione delle norme del diritto internazionale del mare in materia di soccorso”, che prescrivono l’obbligo di soccorrere e portare immediatamente i migranti nel porto sicuro più vicino. Non solo. Nel fascicolo c’è anche la mail con la quale il comando della Guardia costiera ( per la prima volta) comunica al Viminale il suo “nullaosta allo sbarco”, prendendo in qualche modo le distanze dall’Interno. La Lega, però, nel frattempo protegge il suo Capitano, parlando di inchiesta folle, fuori da ogni logica.
Intanto Salvini preferisce ammantarsi di vittimismo. “Oggi mi sono svegliato da indagato”, ha detto ieri partecipando a un evento a Terni. E poi ha lanciato una dura frecciatina alla Procura: “Chiederò quanto costano queste indagini, quanto tempo si sta perdendo e quanto denaro pubblico degli italiani si sta spendendo per indagare o perseguitare Matteo Salvini come pericoloso sequestratore”. E giù, come sempre, applausi.