Il Matteo Salvini che a Montecitorio ha incontrato la numero uno di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, è un leader a metà. Quella siglata martedì nel corso del consiglio federale della Lega è stata una sorta di tregua. Salvini rimane alla guida del partito di via Bellerio ma sostanzialmente per una ragione semplice: al momento un altro leader non si intravede.
Salvini incontra la Meloni, ma può scordarsi il Viminale. E i veneti gli chiedono il ministero degli Affari regionali
I presidenti di Regione, accreditati a succedergli, da Luca Zaia (Veneto) a Massimiliano Fedriga (Friuli Venezia Giulia) ora non hanno intenzione di uscire allo scoperto. Ma i militanti, la cosiddetta base, sono in fermento e i mal di pancia di assessori ed esponenti del partito locali non sono affatto sopiti dopo il compromesso raggiunto. Perché quello che è stato raggiunto è sicuramente un compromesso.
Salvini ha ottenuto, oggi, la garanzia che rimarrà al suo posto alla guida del partito e in cambio ha concesso ai presidenti di Regione, che ne hanno fatto esplicita richiesta, di accelerare sui congressi. Quelli provinciali saranno celebrati entro dicembre – occhi puntati su quello di Bergamo che si terrà il 20 novembre mentre il 6 ottobre toccherà a Varese alla presenza oltre a Salvini anche di big come Giancarlo Giorgetti e Attilio Fontana – e immediatamente a seguire si faranno i regionali. Ma dell’assise nazionale in cui Salvini dovrebbe realmente testare la tenuta della sua leadership manco a parlare.
Una concessione quella sui congressi che peraltro non accontenta tutti. In Lombardia la partita congressuale potrebbe slittare a dopo le regionali e questo non va affatto giù a Paolo Grimoldi, già segretario della Lega lombarda. Che ha avviato una raccolta di firme per stringere sui tempi. “In poche ore abbiamo raccolto più di mille adesioni di militanti lombardi alla richiesta dì congresso: andiamo avanti e facciamo rete”, dichiara Grimoldi che chiede la testa del commissario lombardo Fabrizio Cecchetti, indicato da Salvini.
Ma ci sono altre concessioni che ha dovuto fare il segretario. Sul governo il Capitano non deciderà da solo. La settimana prossima si terrà una nuova riunione del federale proprio sul ruolo che dovrà giocare la Lega nell’esecutivo a partire dalla composizione della squadra e dalle istanze di cui dovrà farsi carico. A partire dalle storiche battaglie della Lega come quell’Autonomia che, come ha detto Zaia, vale un governo.
Salvini insomma è avvertito o meglio è commissariato. Prima del faccia a faccia con Meloni sui social rivendica ancora una volta per sé il Viminale. Ma qualche ora dopo, dal Veneto arriva un primo richiamo. “La Lega e Salvini pretenda, nelle trattative per il prossimo governo, il ministero degli Affari Regionali. La priorità del Veneto, e di tutto il Nord, è l’Autonomia regionale”, afferma il consigliere regionale veneto Fabrizio Boron. Che ricorda la promessa di Salvini di portare al primo Consiglio dei ministri la riforma dell’Autonomia. Insomma più chiaro di così non si può.
Mentre la vecchia guardia nostalgica della Lega nordista e secessionista non si accontenta dei richiami e dei compromessi e continua a sparare a pallettoni contro “Matteo”. Il sogno di Salvini “di fare il premier finisce qui. Paga la sua incoerenza, non è più credibile”, ha dichiarato in un’intervista a i Roberto Castelli, storico dirigente della Lega. “Ha ribaltato e smantellato il partito – spiega – ma gli è andata male. Si è rivelato un leader usa e getta. Il nome Lega-Salvini premier è ormai démodé”.
Per il cambio di vertice della Lega – aggiunge- “ci sono due opzioni: Salvini fa una profondissima seduta di autocoscienza e convoca un congresso oppure nasce un nuovo soggetto che tiene accesa la fiammella dell’autonomia”. Ma Salvini finora, pur dichiarando di volersi assumere le responsabilità della batosta elettorale, non ha fatto nessuna seduta di autocoscienza come la definisce l’ex ministro. A suo dire la Lega ha pagato soltanto la partecipazione al governo Draghi. Ma Zaia ha replicato sostenendo che il crollo si deve anche a problemi interni al partito.
Unica consolazione per la vecchia guardia è la notizia che Umberto Bossi è stato eletto contrariamente a quanto era stato detto. “Il Viminale riconta le schede e corregge degli errori: Bossi è eletto in Lombardia. Quante parole al vento…”, commenta velenoso il leader della Lega che ha dovuto fronteggiare le bordate di storici volti leghisti, a partire dallo stesso Bossi.