La Sveglia

Salvini, il leader senza applausi

Matteo Salvini ha celebrato il proprio congresso come si celebra un compleanno malinconico: tanti invitati, zero sorprese, nessun regalo. Anzi, uno c’è stato: la tessera della Lega consegnata a Roberto Vannacci, generale sospeso, populista da best-seller, candidato eterno in cerca di un palco. Lo Statuto è stato cambiato apposta, a dimostrazione che l’unico vero principio sovrano resta la convenienza personale.

Il congresso fiorentino è stato una vetrina di retorica identitaria, con Marine Le Pen paragonata a Martin Luther King e Salvini che chiede il Viminale come se bastasse tornare innocenti da un processo per meritarsi un ministero. Le parole d’ordine sono le solite: sovranismo, autonomia, attacchi all’Unione europea, ossessioni antimmigrazione. Ma il quadro è quello di un partito senza visione, che maschera con l’aggressività il vuoto di idee.

E tra un videomessaggio di Musk e gli applausi al vittimismo di Le Pen, Salvini ha infilato il vero obiettivo: far traballare Giorgia Meloni. La richiesta esplicita del Viminale, la pretesa sulle regioni del Nord, la sfida aperta sul terreno dell’estrema destra internazionale: è il vecchio gioco del logoramento, con l’applausometro al posto dei numeri. Un congresso travestito da prova di forza, ma cucito come una trappola.

Salvini dice di voler rafforzare la coalizione, ma nel frattempo prepara il terreno per far inciampare Meloni. Non è leadership: è la disperazione di chi, senza consenso, cerca potere con il trucco del prestigiatore che ha esaurito gli applausi.