Se le due parti in commedia recitate da Matteo Salvini per quanto riguarda l’appoggio all’esecutivo guidato da Mario Draghi, con la sua Lega un po’ di lotta e un po’ di governo, secondo delle convenienze del momento è cosa ormai nota, altrettanto evidente sta diventando il suo doppio ruolo nel centrodestra: da una parte “federatore” (è lui stesso a definirsi così) con l’idea di far confluire in un unico soggetto il Carroccio, FI e gli altri partiti minori della coalizione con l’eccezione di Coraggio Italia che si è tirata fuori e di FdI, e dall’altra accanito sostenitore della necessità di presentarsi uniti e compatti, stavolta comprendendo il soggetto politico di Toti e Brugnaro e ovviamente Giorgia Meloni (ben più pesante in termini di consensi elettorali) con candidati condivisi in tutte realtà al voto il prossimo autunno, dalle grandi città alla regione Calabria.
E ovviamente nella Capitale, dove ieri si è tenuta la conferenza stampa di presentazione del ticket formato dal candidato a sindaco Enrico Michetti e dalla sua “prosindaco” (definizione by Salvini) Simonetta Matone. Al Tempio di Adriano erano presenti anche il segretario della Lega, la presidente di FdI (grande sponsor dell’avvocato che correrà per il Campidoglio) e il coordinatore azzurro Antonio Tajani: il refrain scelto sia dai leader politici che dal candidato è stato quello del “restituire a ogni cittadino l’orgoglio di Caput Mundi”, un obiettivo valutato “difficile ma non impossibile”. Di programmi si è parlato poco, e da parte sua, l’avvocato Michetti ha tenuto a sottolineare che “Non ci sarò ideologia nella mia campagna elettorale. Qui abbiamo una città da amministrare, dove al centro ci saranno i servizi. Non ci sarà pregiudizio nei confronti di nessuno. Lavoreremo nell’interesse del cittadino”.
E ancora: “Il cittadino può essere di destra, di sinistra o di centro . Altrimenti non si sarebbe propeso per una candidatura civica”, ha sottolineato senza troppi giri di parole. Del resto il centrodestra ha fatto una precisa scelta in questo senso, decidendo di candidare anche nelle alte città dei profili civici: appoggeranno l’imprenditore Paolo Damilano a Torino e la prossima settimana, mercoledì, ci sarà un nuovo vertice dei leader per sciogliere gli ultimi nodi sul tavolo, quelli di Milano e Bologna. Una volta chiuso il cerchio, poi Lega e FI si metteranno a ragionare su forma, modi e contenuti della loro federazione: anche ieri Salvini ha rilanciato il progetto e in una nuova telefonata con Silvio Berlusconi, i due leader hanno convenuto che è “La strada giusta per unire le energie e aiutare il governo Draghi nei passaggi più delicati”.
Ancora una volta FdI, per bocca di Ignazio La Russa ha spiegato che, essendo intenzionati a restare all’opposizione “La federazione ha un senso non per noi ma per loro, che devono contrastare la forte presenza della sinistra al governo”. Per questo, spiega, “FdI guarda a questo progetto con rispetto, ma non c’entra nulla’’. Anche perché, almeno secondo i sondaggi, non è un buon affare: le prime rilevazioni sulla futura federazione effettuate da Emg-Different per Adnkronos indicano una “partenza lenta”: il progetto al momento non sembra scaldare gli elettori di centrodestra.
Se infatti il 56% si dice favorevole all’unione tra i partiti di Salvini e Berlusconi, l’analisi dei flussi elettorali mostra delle criticità. Basandosi sulle intenzioni di voto la Lega infatti è accreditata al 21,5%, mentre FI al 7% mentre la federazione toglierebbe voti ai due partiti, arrivando solo al 23,8% (-4,7% rispetto alla somma di Lega e FI): uno spostamento di voti non solo a favore di FdI (quasi +2%) e delle formazioni più piccole del centrodestra ma addirittura a favore di Italia viva di Renzi e Azione di Calenda.