di Gaetano Pedullà
Una domanda politicamente scorretta. E per chi è figlio di una generazione cresciuta con il mito yankee, quasi sconveniente da porre. Il presidente americano Barack Obama merita ancora il premio Nobel per la pace? Il leader Usa che spacca il G20 per bombardare la Siria, che aggira l’Onu, che sfida l’opposizione del mondo, che ignora il Papa, che rischia l’isolamento politico nello scacchiere internazionale e persino al Congresso di casa propria, potrà pure indossare i panni di gendarme del pianeta, ma quelli di paladino della pace? Gli orrori di Damasco sono terribili. La guerra civile e persino l’uso di armi chimiche impongono una reazione. Voltare lo sguardo dall’altro lato, come ha fatto l’Occidente quanto meno negli ultimi due anni, ignorando il conflitto interno siriano, è di un cinismo imperdonabile. Ma rispondere alla violenza con altra violenza, dopo le lezioni sempre uguali – evidentemente non imparate – di quei Paesi dove si è provato inutilmente ad esportare la democrazia con le bombe, è incomprensibile. Specie se l’intervento che l’America (con pochi alleati) vuol realizzare rischia di far esplodere la polveriera Medio Oriente, con scenari imprevedibili e comunque drammatici. Il mondo deve tantissimo agli Stati Uniti. Le preclusioni ideologiche e le accuse povere di argomenti che hanno portato a demonizzare il gigante americano sono troppo spesso pretestuose. Oggi, anche in Italia, larga parte della Sinistra – per non parlare di una vasta area antagonista, anarchica ed extraparlamentare – odia un Paese che è l’emblema di modelli liberali, a partire dal capitalismo, con tutti i suoi meriti e i suoi difetti. Da qui a dar fuoco alle bandiere a stelle e strisce però ne passa. Esattamente come ne passa tra il rispettare gli Stati Uniti e porsi in profondità la domanda su cosa porta un nuovo assalto militare. Una domanda fin ora senza risposta.