Il recente aggiornamento del rapporto dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) pone una questione cruciale e spesso fraintesa nel contesto delle operazioni di salvataggio in mare: la necessità di distinguere chiaramente tra trafficanti di esseri umani e coloro che operano nel rispetto delle leggi internazionali e dei diritti umani per salvare vite umane. La distinzione non è solo teorica, ma ha implicazioni pratiche e legali significative per le operazioni di soccorso e per le vite di migliaia di migranti.
La normativa internazionale e le operazioni SAR
Il quadro normativo internazionale, che comprende la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (SOLAS) del 1974, la Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo (SAR) del 1979 e la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982, stabilisce chiaramente l’obbligo di assistere le persone in difficoltà in mare, indipendentemente dalla loro nazionalità o status. Le operazioni di salvataggio devono concludersi con il trasferimento dei sopravvissuti in un “luogo di sicurezza” dove i loro bisogni fondamentali possano essere soddisfatti.
Le sfide delle organizzazioni non governative
Dopo la conclusione del programma Mare Nostrum nel 2014, diverse organizzazioni della società civile hanno iniziato a impiegare navi e aerei per il soccorso, riducendo significativamente le morti in mare e portando i salvati in sicurezza nell’Unione europea. Tuttavia, molte di queste organizzazioni hanno dovuto affrontare ispezioni, detenzioni delle navi e procedimenti penali, ostacolando le loro operazioni di soccorso.
A maggio 2024, solo 17 navi e tre aerei erano ancora operativi, con molti mezzi bloccati per manutenzione o procedimenti legali. In alcuni casi, i membri dell’equipaggio e gli attori della società civile hanno affrontato procedimenti penali per le loro attività di ricerca e salvataggio, creando un effetto intimidatorio su queste operazioni.
Raccomandazioni e conclusioni della FRA
La FRA sottolinea che le azioni legali contro le ONG e i volontari coinvolti nel SAR devono rispettare le leggi internazionali, del Consiglio d’Europa e dell’UE sui diritti fondamentali e sui rifugiati. È essenziale distinguere tra i trafficanti di esseri umani e coloro che agiscono in base all’imperativo umanitario e agli obblighi legali internazionali di salvare vite in mare. Questo richiede che le autorità nazionali e i tribunali trovino il giusto equilibrio tra le leggi internazionali, dell’UE e nazionali.
Il caso delle sanzioni italiane
Il rapporto evidenzia che dal luglio 2023 sono stati aperti 18 nuovi procedimenti legali in Italia contro le operazioni SAR delle ONG, con multe che vanno da 2.000 a 10.000 euro e il blocco temporaneo delle navi nei porti. Questi procedimenti sono spesso il risultato del mancato rispetto delle istruzioni della Guardia Costiera Libica o della mancata richiesta di un porto di sbarco in Libia.
La necessità di una distinzione chiara
Il rapporto della FRA chiarisce che la distinzione tra trafficanti e soccorritori non è solo una questione legale, ma una questione di principio umanitario e di diritti fondamentali. Ignorare questa distinzione non solo compromette la sicurezza delle operazioni di salvataggio, ma mette anche a rischio la vita di migliaia di migranti che cercano disperatamente un luogo di sicurezza.
In un’epoca in cui le politiche migratorie diventano sempre più restrittive – scrive la FRA – è fondamentale riconoscere e rispettare il lavoro di chi, spesso a rischio della propria vita, si impegna a salvare quelle degli altri. La distinzione tra soccorritori e trafficanti deve essere non solo una linea guida per le operazioni SAR ma un principio fondamentale per la protezione dei diritti umani in mare. Qualcuno lo spieghi con calma anche al governo italiano.