Dalla padella alla brace. Dopo la riforma di Marta Cartabia, già bocciata da numerosi magistrati, per la Giustizia italiana rischia di mettersi molto male con l’intendo del guardasigilli Carlo Nordio di mettere mano all’abuso d’ufficio e al traffico di influenze illecite. A pensarla così i numerosi togati che ieri sono stati auditi dalla Commissione Giustizia della Camera.
Per la Giustizia rischia di mettersi male con l’intendo di Nordio di mettere mano all’abuso d’ufficio e al traffico di influenze illecite
“Sul tema ho letto con grande attenzione le proposte che sono state presentate” per riformare l’abuso d’ufficio che è “un reato di fatto inapplicato se per applicazione intendiamo il raggiungimento di una sentenza di condanna”, è quanto afferma il procuratore aggiunto di Milano, Tiziana Siciliano. Il problema dell’abuso d’ufficio è che è “sostanzialmente impossibile da provare e da portare a suo compimento” in quanto “con le differenti riforme che ci sono state nel tempo alla formulazione originaria” sono stati introdotti “così tanti distinguo, paletti e complicazioni di tipo probatorio, da renderlo quasi una lettera morta”.
“Ora la soluzione che viene proposta di abrogazione tout court del reato francamente sconcerta perché non si guarda alla sua genesi” prosegue Siciliano spiegando che è tempo di “abbandonare le stravaganti teorie che vedono i pm colpiti da una sorta di bulimia investigativa” perché se guardiamo alla “realtà scopriamo che buona parte dei fascicoli inerenti all’abuso di atti d’ufficio derivano da denunce di cittadini di fronte a presunte malefatte nella Pubblica amministrazione”.
È nell’interesse dei cittadini che la magistratura “ricostruisce il fatto per vedere se corrisponde”, ma con le nuove norme ciò rischia di diventare impossibile conclude. Dello stesso avviso Maurizio De Lucia, procuratore di Palermo, che segnala come uno dei motivi per cui l’abuso d’ufficio spesso non arriva a sentenza deriva dal meccanismo della prescrizione che inizia a decorrere dal momento in cui viene compiuto il fatto e che “i sette anni e mezzo” necessari per far prescrivere un reato “non sono sufficienti per arrivare a una sentenza di Cassazione”.
Ma il procuratore fa notare anche un’ulteriore stortura spiegando che “oggi non è utilizzabile l’intercettazione nella quale emerge una condotta di abuso d’ufficio perché il legislatore ne impedisce l’utilizzabilità per reati che in astratto non potevano essere intercettati”. Tutto ciò, prosegue De Lucia, “in terre a forte infiltrazione mafiosa hanno un significato importante perché una preziosa fonte per acquisire illeciti nei confronti della Pa arrivano proprio dalle indagini di mafia”.
Cosa ancora più grave è che se si vuole davvero abrogare questi tipi di reato bisogna comunque “tenere in piedi la punibilità delle condotte abusive di vantaggio” altrimenti “visto che nel diritto penale come nella fisica non esistono vuoti, è ragionevole pensare che gli spazi non coperti dall’articolo 323 verranno coperti da altre fattispecie di reato” creando il caos.
Bocciatura a queste proposte di riforma che è stata confermata anche dal procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, secondo cui “sull’abuso d’ufficio ci sono tre vie: l’abrogazione, la trasformazione in illecito amministrativo o il lasciare tutto com’è. (…) Con la proposta di Pittalis si verrebbe a impedire il perseguimento di alcune condotte di mediazione remunerate, anche da parte di dipendenti pubblici, che intervengono in ambiti in cui il sistema non tollera alcuna mediazione. Faccio un esempio che riguarda i magistrati. Pensiamo a un’ipotesi di mediazione remunerata per l’esercizio della funzione giudiziaria per cui un magistrato riceve denaro per interferire sulla funzione di un altro magistrato ad esempio affermando – poco importa se in buona o malafede – che taluno è innocente e deve essere assolto. Con la nuova formulazione proposta questo magistrato non risponderebbe dell’illecito”.
Insomma per tutti i magistrati auditi, si rischia un disastro. E lo stesso Lo Voi fa notare che in ogni caso “sia l’abrogazione che la trasformazione in illecito amministrativo ci metterebbero fuori dalle convenzioni internazionali e comunitarie che noi stessi abbiamo sottoscritto” e ciò, conclude, “ci esporrà a possibili procedure di infrazione da parte dell’Unione europea”.