“Salirà il costo del lavoro, al Sud è a rischio la crescita occupazionale”: parla il direttore Svimez, Luca Bianchi

Parla il direttore generale Svimez, Luca Bianchi, preoccupato per il taglio della Decontribuzione Sud e dell'aumento del costo del lavoro.

“Salirà il costo del lavoro, al Sud è a rischio la crescita occupazionale”: parla il direttore Svimez, Luca Bianchi

Luca Bianchi, direttore generale Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), ha offerto nuovi spunti al dibattito pubblico attraverso il rapporto annuale che pone grande attenzione – attraverso dati e analisi – alla competitività e alla coesione.

Direttore, sono due anni che il Sud cresce ancor più del Nord (+0,9 % il primo e +0,7% il secondo). Com’è possibile allora che la crescita sia accompagnata dallo spopolamento di quegli stessi territori?
“Le dinamiche demografiche sono poco sensibili alle variazioni congiunturali. Servono anni di crescita sostenuta per invertire queste tendenze che, seppur più accentuate al Sud, riguardano l’intero Paese. Il problema è soprattutto la qualità della crescita e dell’occupazione. I salari al Sud sono oggi più bassi dell’8% rispetto a 10 anni fa, il tasso di occupazione femminile è ancora intorno al 30%, il più basso d’Europa. Lavoro povero e pochi servizi scoraggiano i giovani qualificati a rimanere sul territorio e a farsi una famiglia al Sud”.

Il dibattito pubblico negli ultimi anni ci ha portato a credere che l’immigrazione sia un problema, mentre dal rapporto Svimez sembra che lo sia l’emigrazione. Dove la verità?
“I dati dimostrano che il problema del Paese è l’emigrazione. Lo scorso anno 18mila giovani laureati hanno lasciato l’Italia per andare all’estero e quasi 27mila sono emigrati dal Sud verso il Centro-Nord. Una vera emergenza perché così, soprattutto il Sud, perde quel pezzo di classe dirigente del futuro che dovrebbe contribuire ad attivare processi di crescita e di innovazione. Ma dico di più, l’immigrazione può essere anche la soluzione rispetto ai rischi di spopolamento soprattutto delle aree interne. I dati del Rapporto ci dicono che in 3mila comuni italiani, per effetto della riduzione dei bambini in età scolare, rischia di chiudere l’unica scuola primaria presente. Le aree che riescono a tenere aperte le scuole sono quelle che riescono ad attrarre nuove famiglie di stranieri. Una dimostrazione che spesso accogliere è la strategia migliore per restare”.

Nel 2050 l’Italia perderà 4,5 milioni di abitanti, l’82% proprio nelle regioni meridionali e fra questi moltissimi giovani. Cosa fare per invertire questo trend?
“Invertire questa tendenza è possibile ma servono politiche coerenti e costanti nel tempo. Servono investimenti e politiche industriali per attirare nuove attività produttive. Ma serve soprattutto garantire diritti di cittadinanza. La variabile strategica per invertire il trend demografico è aumentare il tasso di occupazione femminile che è al Sud di appena il 30%. la più bassa tra tutte le regioni europee. A fare la differenza sono diffusione e qualità dei servizi di conciliazione dei carichi familiari e di lavoro, a partire da asili nido, tempo pieno nelle scuole, sanità territoriale, servizi per gli anziani; servizi che promuovono la natalità e contrastano la disoccupazione e la segregazione lavorativa”.

Come dare slancio e continuità alla ripresa generata dal Pnrr?
“Le analisi Svimez confermano il ruolo determinante di stimolo del Pnrr alla crescita dell’area, ma evidenziano anche la necessità di accompagnare il ciclo di investimenti in infrastrutture economiche e sociali con un rilancio delle politiche industriali volte al rafforzamento del tessuto produttivo locale. Nel contesto della nuova globalizzazione, segnata da una maggiore intensità dei conflitti economici e commerciali, la riconfigurazione delle catene globali del valore fornisce nuove opportunità di sviluppo al Mezzogiorno. Si tratta di opportunità che possono essere colte solo se le politiche saranno in grado di valorizzare le sue competenze – spesso inutilizzate e in fuga verso altre aree – e di avviare una riconfigurazione del tessuto produttivo, in particolaredi quelle aree di specializzazione già presenti in settori strategici quali ad esempio la farmaceutica, l’agroalimentare, l’aerospazio. Lo stesso sviluppo delle energie rinnovabili può offrire opportunità di crescita ma solo se si supera l’idea del Mezzogiorno come mero hub energetico, puntando alla creazione di un vero e proprio polo produttivo nei segmenti chiave delle green tech”.

Nella manovra 2025 abrogato l’incentivo sulla decontribuzione al Sud che da solo vale per il prossimo anno 5,9 miliardi. Viene istituito un Fondo per interventi al Sud pari alla metà di quanto tagliato. È questa la strada giusta da seguire? Pare che Confindustria, penso alle parole del Vicepresidente Mazzucca, non sia molto contenta.
“Ha ragione Confindustria. La decontribuzione ha contribuito negli ultimi anni ad ampliare l’impatto occupazionale della ripresa al Sud. L’improvvisa eliminazione comporterà al sud un incremento del costo del lavoro di circa il 30% rischiando di interrompere la crescita occupazionale. Occorre riaprire subito una vertenza con Bruxelles per riconoscere la necessità di un intervento che, almeno in parte, sterilizzi i maggiori costi a carico delle imprese del sud, per le carenze di infrastrutture e per i maggiori costi energetici”.

Il ministro della Protezione civile Nello Musumeci attribuisce parte dei problemi del Sud ad una certa mentalità che “non vuole cambiare”. Affermazione che ha fatto molto rumore e generato reazioni nelle opposizioni, come quella del vicepresidente del M5S Gubitosa che ha invitato il ministro a occuparsi del Mezzogiorno, essendo pagato per questo. È davvero un problema di mentalità ad affliggere il Mezzogiorno?
“Io non ho mai creduto ad interpretazioni genetiche o antropologiche della questione meridionale. La complessità dell’economia e della società del Sud conferma l’esistenza di aree di estrema vitalità imprenditoriale e di esperienze amministrative molto positive che convivono con fenomeni di resistenza al cambiamento. Il tema centrale è spesso quello di una politica più attenta alle esigenze di conservazione piuttosto che a quelle del cambiamento. Ma anche in quello non mi sembra che il Sud sia così diverso dal resto del Paese. Forse è proprio questa idea divisiva di due paesi, il Nord e il Sud, con problemi e interessi contrapposti che va superata. La stessa idea portata avanti con quel progetto di Autonomia differenziata che rischia di frammentare il Paese, rendendo il Sud più povero e il Nord più fragile ed isolato”.

Le dimissioni di Carlos Tavares e lo sciopero dei lavoratori della Wolkswagen mettono un accento europeo su una già costante crisi dell’automotive. Quali sono gli impatti industriali e occupazionali sull’Italia?
“Stellantis non è più Torino ma ormai è prevalentemente collocata nel Mezzogiorno. Nel 2024 l’89% delle auto italiane sono state prodotte negli stabilimenti del Sud. Complessivamente il settore automotive impiega al Sud, tra diretti e indiretti, 45mila lavoratori. La crisi del comparto rischia di incidere sul futuro industriale delle regioni meridionali. I dati del 2024 sono drammatici: meno 100mila auto prodotte pari ad una contrazione del 25%, con punte del -63% a Melfi. Serve un protagonismo italiano nel favorire una strategia europea per la transizione ponendo al centro la riconversione e rilancio degli stabilimenti del Sud”.

Cosa pensa la Svimez della nomina di Foti a ministro per gli affari Ue e per il Pnrr? Meloni ha mantenuto le deleghe alle politiche per il Sud…
“Il primo punto che abbiamo posto al Governo, dopo la nomina di Fitto a Commissario europeo, è stato di evitare uno spacchettamento delle deleghe su Affari europei, Sud e Pnrr. Il principale elemento di novità perché consentiva un maggiore coordinamento delle ingenti risorse disponibili per investimenti nel Mezzogiorno. Un messaggio che sembra al momento solo parzialmente recepito. Una delega al Sud, svincolata dal controllo delle risorse per la coesione, appare poco comprensibile e si tradurrebbe esclusivamente in una rappresentanza politica. Cosa vuol dire? Che domani potremmo avere una richiesta di analoghi ministeri per il Nord o per il Centro?”.