Ieri c’è stato il via libera dell’Aula della Camera alla delega al governo che stoppa la legge sul salario minimo. Michele Gubitosa, deputato e vicepresidente del M5S, è una battaglia da considerarsi persa?
“Assolutamente no. Se la maggioranza crede che basti questo per fermare la nostra battaglia si sbaglia di grosso. In pochi mesi abbiamo raccolto oltre mezzo milione di firme a sostegno della proposta di legge a prima firma Giuseppe Conte. Ai banchetti sono venute anche persone che alle ultime elezioni hanno votato per i partiti del centrodestra ma che sono stufe di avere salari da fame. Presto si renderanno conto del bluff di FdI, Lega e Forza Italia: con questa legge delega non cambierà niente e addirittura si riaprirà la stagione delle ‘gabbie salariali’, ossia stipendi differenziati in base al costo della vita, che fortunatamente non esistono più da oltre 50 anni”.
La premier Giorgia Meloni accusa le opposizioni di non aver introdotto il salario minimo legale in dieci anni al governo. Ci dice come stanno realmente le cose? Perché nel governo Conte I e nel governo Conte II non è stato possibile portarlo avanti?
“È un’accusa che mi fa davvero sorridere. Ricordo alla smemorata Meloni che il M5S, unica forza politica che da quando è entrata in Parlamento porta avanti con convinzione e coerenza tale proposta, è stato al governo per soli 4 anni. Nel 2019 fu la Lega del suo main partner Matteo Salvini a mettere il veto sul salario minimo, malgrado fosse uno dei punti qualificanti del contratto che avevamo sottoscritto. Il Conte II, invece, ha dovuto gestire per primo in Europa una pandemia che ha messo in ginocchio il Paese, facendo di tutto per salvaguardare il nostro tessuto sociale e produttivo mentre la stessa Meloni andava in tivvù a dare del ‘criminale’ al premier. Prima che cadesse, da Draghi giunse una proposta che non era il salario minimo e che per noi era dunque invotabile. Se gli argomenti della Meloni sono questi, le consiglio di cambiare subito spin doctor”.
La direttiva comunitaria non impone l’obbligo di introdurre un salario minimo legale laddove la contrattazione collettiva abbia un tasso di estensione significativo (almeno l’80%) che è quanto si registra in Italia. Ma il commissario per il Lavoro Ue Nicolas Schmit ha fatto notare che il nostro Paese ha una parte enorme dell’economia dove i salari sono troppo bassi, una situazione non sana che va affrontata. “Un minimo di legge può essere una soluzione, dando anche una spinta alla crescita”, ha detto.
“La direttiva parla di garantire ai lavoratori dell’Ue salari minimi ‘adeguati’. Se è vero che in Italia la contrattazione copre la stragrande maggioranza dei lavoratori, dall’altra, come noto, quasi 4 milioni di loro sono poveri. Una contraddizione in termini. Il caso della Germania, dove il salario minimo è oggi di 12 euro l’ora, dimostra che la stessa contrattazione e un minimo stabilito per legge possono tranquillamente coesistere. E, contrariamente alle bufale che racconta la maggioranza, in nessuno dei 22 Stati dov’è già stato introdotto i salari sono calati o è aumentata la disoccupazione. Ricordo che, secondo l’Ocse, il nostro è stato l’unico Paese che fra il 1990 e il 2020 ha registrato un calo del salario medio annuale del 2,9%. Nello stesso periodo, in Svezia, uno degli altri 5 Paesi che come noi non hanno il salario minimo, gli stessi sono aumentati del 63%. O Meloni & Co. non leggono i dati oppure, peggio ancora, sono favorevoli allo sfruttamento dei lavoratori”.
Il Cnel, guidato da Renato Brunetta, ha ribadito la centralità della contrattazione collettiva per vincere il fenomeno del lavoro povero ma la Corte di Cassazione ha sostenuto che questa non è sempre sufficiente a garantire quanto stabilito dall’articolo 36 della Costituzione. La magistratura supplirà alla politica sul fenomeno del lavoro povero?
“Questo sta già avvenendo. Basta vedere i numerosi casi di commissariamento di alcune società della vigilanza privata che pagano stipendi irrisori a migliaia di lavoratori. Aggiungo che l’introduzione di un salario minimo legale metterebbe fine alla concorrenza sleale fra imprese favorita dai contratti ‘pirata’, che con questa delega al governo non solo non vengono messi fuori legge ma, stabilendo che per ciascuna categoria valgono i contratti più applicati, sono favoriti”.
Oggi – rivelano due report dell’Inapp sugli ammortizzatori sociali – “in Italia rimangono scoperti, in caso di crisi, più di 4 milioni di lavoratori non standard, quelli anziani sopra i 52 anni, i contingenti, gli autonomi individuali, gli inoccupati in cerca di lavoro, i lavoratori delle piattaforme e i “working poor”. Aver picconato il Reddito di cittadinanza è stata un’idea sciagurata?
“È così. In questo primo anno, il governo non ha varato un solo provvedimento per accompagnare e gestire i cambiamenti in corso nel mercato del lavoro, accelerati proprio dalla pandemia, ma ha solo cancellato tutto ciò che il M5S ha fatto nella scorsa legislatura. Prima ha smantellato il Rdc, poi ha eliminato il decreto Dignità, ora ha affossato il salario minimo. Il risultato? Ben 400mila famiglie che da gennaio, secondo la Caritas, resteranno prive di quella protezione sociale che gli veniva garantita dal Reddito mentre a coloro che stanno facendo la formazione non sta arrivando un euro; più contratti precari e voucher e, dulcis in fundo, il 63% delle famiglie italiane che fatica ad arrivare a fine mese. La Meloni può anche dire che va tutto bene ma questa è la realtà”.
Cosa ne pensa della proposta di ridurre la settimana lavorativa a parità di salario?
“Siamo assolutamente favorevoli. Da mesi abbiamo presentato una pdl a prima firma Conte per giungere a tale obiettivo, dedicandola al compianto professore Domenico De Masi che per anni ha teorizzato la ‘settimana corta’. Diciotto Paesi nel mondo la stanno già testando e anche nel nostro Paese alcune importanti realtà si stanno muovendo in tale direzione. Uno dei nostri emendamenti alla Manovra è proprio su questo tema. Vedremo se, almeno stavolta, il governo mostrerà un po’ di coraggio”.