Il leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri, lo ha detto a questo giornale: “Nel nostro Paese c’è un problema salariale”. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, lo ha confermato. C’è “una emergenza salariale” e “bisogna porre con forza la questione”.
L’aumento dei salari, insieme al rinnovo dei contratti, per un nuovo modello economico e sociale “sono punti centrali” dello sciopero del 29 novembre, ha detto Landini, nel corso di una conferenza stampa, rimarcando che “ci sono quasi 6 milioni di lavoratori nel nostro Paese che non superano 11mila euro l’anno”.
“Il quadro è al centro dell’azione sindacale. L’aumento dei salari è la condizione per affermare anche un nuovo modello di fare impresa e un nuovo modello economico e sociale. Rimettere al centro il lavoro e le persone significa rimettere al centro le loro condizioni”, afferma sostenendo che invece “i provvedimenti del governo vanno in direzione opposta. Continuare così significa portare a sbattere il Paese”.
Landini ha commentato il rapporto della Fondazione Di Vittorio sui salari e le disuguaglianze presentato giovedì nella sede del sindacato. In 30 anni, dal 1990 al 2020, in Italia il potere d’acquisto ha perso il 2,9% contro un aumento del 18,4% nella media Ocse e del 22,6% nella media della zona euro. Non solo.
Salari, Italia fanalino di coda tra i Paesi dell’area Ocse
Impietoso il confronto tra i salari in Italia in calo e quelli in crescita in Germania, Francia e Spagna. Tra il 1991 e il 2023, i salari italiani segnano un calo di 1.089 euro, contro i +10.584 euro dei tedeschi, i +9.681 euro dei francesi e i +2.569 euro degli spagnoli.
Ma ancora non è finita. Il mancato adeguamento all’inflazione dei salari ha generato una perdita per i lavoratori che ammonta a oltre 5mila euro in quattro anni, ovvero dal 2021 al 2024.
Si tratta della più grande perdita salariale degli ultimi 50 anni, destinata – se il rinnovo dei contratti dovesse tardare ancora e le stime sull’inflazione essere confermate – ad accumularsi negli anni fino a superare quota 15mila euro nel 2029.
L’inflazione si sta divorando gli stipendi
Secondo i dati elaborati dalla Fondazione, nel 2021 la retribuzione media contrattuale ammontava a 26.660 euro, ma se fosse stata in linea con l’inflazione sarebbe dovuta arrivare a 27.041 euro. Questo mancato adeguamento ha generato una perdita netta di 381 euro.
Nel 2022 la perdita ammontava a 1.526,9 euro, l’anno dopo a 2.271 euro, nel 2024 a 1.143,8 euro. Così, la perdita complessiva cumulata – sommando cioè tutte le perdite dei quattro anni – arriva a 5.322,9 euro. Allo stesso modo se le stime del governo sull’inflazione venissero confermate e senza rinnovi, si arriverebbe a una perdita netta cumulata di 15.552,8 euro nel 2029.
Landini rimarca la necessità “per tutti di avere rinnovi con una reale difesa e possibilmente un aumento del potere d’acquisto dei salari” e a proposito del contratto 2022-24 degli statali, non firmato dalla Cgil, sostiene che “non è un accordo: il governo ha deciso di imporre un aumento del 6% rispetto al 17% di inflazione. Questo significa sancire una perdita strutturale e una riduzione programmata dei salari. Il governo è il primo che non assume una inversione di tendenza”.
Il segretario generale della Cgil sottolinea anche che i contratti negli anni “si sono moltiplicati: bisogna ridurli, semplificarli e in alcuni casi anche unificarli” e rilancia la necessità di “arrivare finalmente ad una legge sulla rappresentanza”.
E sullo sciopero, sottolinea, che “è innanzitutto un disagio per chi lo fa, perché perde una giornata di lavoro, e dietro c’è una rivendicazione che riguarda una crescita reale del Paese, una riduzione delle disuguaglianze e la costruzione di un diverso modello sociale ed economico”.