C’è un vuoto che si allarga nel Servizio Sanitario Nazionale, ed è quello lasciato dagli infermieri. Ogni anno l’Italia ne perde oltre diecimila, un’emorragia silenziosa che erode le fondamenta della sanità pubblica. Lo certifica il nuovo report della Fondazione GIMBE, che fotografa una crisi strutturale aggravata da salari inadeguati, carichi di lavoro insostenibili e una programmazione miope.
Nel 2022, il nostro paese contava 5,13 infermieri ogni 1.000 abitanti, con un divario allarmante tra Nord e Sud: dai 7,01 della Liguria ai 3,83 della Campania. Il confronto internazionale è impietoso: la media OCSE è di 9,8 infermieri per 1.000 abitanti, quella dell’Unione europea di 9. Noi ci fermiamo a 6,5, meglio solo di Spagna, Polonia, Ungheria, Lettonia e Grecia. Il rapporto infermieri/medici è altrettanto sbilanciato: 1,5 contro la media OCSE di 2,7. Il risultato? Turni massacranti, reparti con organici ridotti all’osso e un sistema sempre più vicino al punto di rottura.
Un mestiere sempre meno attrattivo
La professione infermieristica sta diventando sempre meno appetibile. Dal 2019 a oggi, oltre 42.000 infermieri si sono cancellati dall’albo, di cui più di 10.000 nel solo 2024. Il trend è chiaro: chi può, lascia. Si va all’estero, si abbandona la professione o si cerca una via d’uscita nel privato. Il problema non è solo numerico, ma generazionale: nel SSN, uno su quattro ha più di 55 anni e andrà in pensione nei prossimi anni, mentre il numero di laureati è drammaticamente insufficiente per garantire il ricambio. Nel 2022, l’Italia ha formato solo 16,4 infermieri ogni 100.000 abitanti, contro una media OCSE di 44,9. Un disastro annunciato.
Salari da fame e condizioni di lavoro insostenibili
Gli infermieri italiani sono tra i meno pagati d’Europa: nel 2022, il loro stipendio annuo medio era di 48.931 dollari a parità di potere d’acquisto, ben 9.463 dollari in meno della media OCSE. Il problema non è solo il confronto internazionale, ma il declino progressivo: tra il 2001 e il 2019, i salari degli infermieri italiani sono diminuiti dell’1,52%, mentre le responsabilità e i carichi di lavoro sono aumentati.
Chi resta in corsia si trova a gestire situazioni sempre più critiche, tra turni estenuanti e reparti in cronica carenza di personale. E il PNRR, che prometteva una rivoluzione nella sanità territoriale, rischia di essere vanificato proprio dalla mancanza di infermieri: servirebbero almeno 20.000-27.000 professionisti per attuare la riforma dell’assistenza territoriale, ma senza interventi immediati questi numeri resteranno sulla carta.
La sanità pubblica sotto scacco
Non è solo una questione di stipendi. La professione infermieristica in Italia è penalizzata da una scarsa valorizzazione, da limitate prospettive di carriera e da un’organizzazione del lavoro che lascia poco spazio alla crescita professionale. A questo si aggiunge il rischio di aggressioni, fisiche e verbali, ormai un fenomeno strutturale nei pronto soccorso e nei reparti ospedalieri.
Serve un piano straordinario per evitare il tracollo. La Fondazione GIMBE propone una strategia articolata: aumenti salariali, incentivi per chi sceglie di restare nel SSN, misure di welfare per ridurre i costi della vita nelle città più care, investimenti sulla sicurezza e sulla digitalizzazione, per rendere più efficiente l’organizzazione del lavoro. Senza un intervento deciso, la sanità pubblica rischia di sgretolarsi, lasciando il paese senza un pilastro fondamentale dell’assistenza sanitaria.
Ogni infermiere che lascia il SSN porta via con sé competenze, esperienza e capacità di cura. Senza di loro, non c’è sanità pubblica che possa reggere.