La pericolosa abitudine di confondere i popoli con i loro governi è sempre utile per infiammare il tifo e per polarizzare le fazioni, ancora di più in tempi di guerra. Così le gesta di Putin esondano nel cretino odio per i russi indipendentemente da quello che sono, quello che pensano e quello che fanno.
È una caccia allo straniero (sempre in voga qui da noi) che richiede ogni volta un nemico nuovo per non fiaccarsi e per tenere alta la bile che poi diventa propaganda e che infine qualcuno prova a raccogliere come voti. Ora il nemico è il russo, qualsiasi russo, vivo o morto.
Odiare i russi nel modo più sfegatato possibile sembra il modo migliore per accreditarsi come difensore dell’Ucraina e come paladino dei diritti umani. E fa niente che ogni tanto questo bullismo esibito abbia effetti più che discutibili.
La russofobia in Italia colpisce perfino Dostoevskij
La russiofobia ha colpito il corso su Fëdor Michajlovič Dostoevskij che l’Università Bicocca di Milano aveva programmato con lo scrittore Paolo Nori. Proprio Nori, in una diretta Instagram, ha raccontato di avere ricevuto una mail dall’università: “Caro professore, il prorettore alla didattica ha comunicato la decisione presa con la rettrice (Giovanna Iannantuoni, ndr) di rimandare il percorso su Dostoevskij. Lo scopo è evitare qualsiasi forma di polemica, soprattutto interna, in questo momento di forte tensione”.
Evitare di tenere un corso su Dostoevskij per non urtare la russiofobia dilagante è sembrato un gesto talmente cretino che in molti sono insorti per contestare la scelta, sia dalla politica che dal mondo della cultura. Una censura “etnica”, per di più su uno scrittore russo che è patrimonio della letteratura mondiale è qualcosa che puzza di mollezza del quieto vivere.
Passano poche ore dalla Bicocca arriva a stretto giro di posta una retromarcia: la rettrice annuncia che il corso si farà e che si è trattato di un “malinteso” in un grande momento di tensione. Eppure dovrebbero essere proprio le Università il motore dell’approfondimento e della comprensione in un momento storico in cui l’approccio emozionale dilagante è pericoloso.
Gli altri casi di russofobia in Italia
Lo scrittore Nori dice che ci penserà con calma («non so se voglio andare in un’università che ha immaginato che Dostoevskij sia qualcosa che genera tensione», ha detto all’Ansa) ma ormai il danno è compiuto. Lo stesso Nori ha riportato anche il caso di Alexander Gronsky, fotografo escluso dal Festival della Fotografia Europea per la sua nazionalità. Solo che Gronsky è stato arrestato (e poi rilasciato) lo scorso 26 febbraio proprio per avere manifestato contro Putin. Ma niente, di questi tempi essere russo è un marchio indelebile da scontare, anche se da morto o da dissidente.
Il Museo nazionale del Cinema di Torino ha cancellato una retrospettiva sul regista russo Karen Georgievich, mentre il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha ingaggiato un braccio di ferro col direttore d’orchestra Valery Gergiev, considerato filogovernativo, ma a farne le spese sarà anche la soprano Anna Netrebko, che pure sui social aveva condannato l’aggressione all’Ucraina, ma che non parteciperà agli spettacoli del Teatro alla Scala.
La guerra dovrebbe essere contro Putin, mica contro i russi, ma in tempi di guerra le misure e le proporzioni sono tra i primi argini a cadere. Alla fine sorge il dubbio che questo sia proprio il momento giusto per leggerlo e studiarlo, Dostoevskij: “È meglio essere infelici, ma sapere, piuttosto che vivere felici… in una sciocca incoscienza”, scriveva il romanziere nel suo libro L’idiota. Potrebbe essere l’undicesimo comandamento laico da tenere a mente in questi giorni violenti e confusi.