Probabilmente era tutto già scritto. Già scritto che alla fine la piattaforma Rousseau avrebbe certificato il Sì del Movimento cinque stelle al governo di Mario Draghi. Già scritto, però, che Alessandro Di Battista avrebbe alla fine lasciato il Movimento. “Questo” Movimento. Con tutte le conseguenze del caso. Perché se è vero che all’esterno i pentastellati tutti continuano a ripetere che non ci saranno spaccature, che tutti si allineeranno al volere degli attivisti nel nome del sacrosanto principio della democrazia diretta, nelle chat popolate solo da ortodossi, i toni tenuti sono di tutt’altro avviso. È sotto processo la gestione della partita Draghi da parte dei vertici a cominciare da Vito Crimi; è sotto processo il silenzio di Luigi Di Maio; sono sotto processo addirittura anche Beppe Grillo, che ha stoppato il voto poche ore prima che si tenesse, e Giuseppe Conte, per via del suo endorsement a Draghi.
LA GIORNATA. Eppure il voto parla chiaro: i Sì su Rousseau sono stati il 59,3%. La partecipazione alla consultazione on line è stata alta: 74.537 votanti, pochi meno di quelli che nel 2019 si sono espressi sul Conte Due e il doppio di quelli del Conte Uno, nel 2018. L’esito rispecchia i “desiderata” dei vertici del Movimento, che per tutta la giornata hanno fatto in modo di rendere pubblico il loro voto favorevole a Draghi. Quel restante 40,3%, cioè i voti contrari, ha in Di Battista il portavoce più in vista. Dei circa 280 parlamentari M5s, sulla carta sono una cinquantina quelli sensibili alle sue posizioni. I più smaccatamente anti-governissimo lo hanno ribadito in giornata. Spingendosi, al massimo, ad accettare un’astensione in Aula.
“Siete voi iscritti al M5s – ha detto la senatrice Barbara Lezzi – che potete decidere se accomodarvi accanto a Berlusconi, Salvini, Renzi, Calenda e gli altri oppure pretendere che tutto passi dal M5S”. E l’ex ministro Danilo Toninelli: “Ho votato No. Per evitare di sedersi al tavolo con certi personaggi che sono tra i motivi per cui è nato il Movimento 5 Stelle”. L’esito della consultazione su Rousseau, però, è vincolante per ogni eletto, pena l’uscita dal Movimento. O sarebbe tale. Dato che qualcuno già ha avanzato più di un dubbio. Pino Cabras, ad esempio, è stato chiaro: “Alle condizioni date non voterò la fiducia al governo Draghi. Se mi stupisse con effetti speciali potrei cambiare idea, ma significherebbe cambiare la politica che ha sempre fatto Mario Draghi nelle istituzioni”.
Alla faccia del voto online. E a poter ora rendere ancora più bollente la tensione è la decisione proprio di Di Battista che ha annunciato il suo addio al Movimento: “Non ce la faccio ad accettare un M5s che governa con questi partiti, accetto la votazione ma non posso digerirla, da tempo non sono d’accordo con le decisioni del movimento e ora non posso che farmi da parte”, dice mentre annuncia la “separazione”. Una separazione cui potrebbero seguirne anche altre. Ecco perché sia Luigi Di Maio sia Vito Crimi sia Roberto Fico ieri hanno di fatto fatto intendere di essere favorevoli al governo Draghi. Finanche Davide Casaleggio si è detto “contento” allontanandosi da quel Dibba cui fino a poche settimane fa era vicino in una sorta di lotta ideologica con Di Maio. Tutti riuniti, dunque, per evitare altre scissioni. Nella consapevolezza sempre più diffusa che, tuttavia, Di Battista potrebbe trascinarsi qualcuno dalla sua parte, tra parlamentari e attivisti.