A scanso di colpi di scena, oggi avremo la nuova legge elettorale. Era difficile immaginare una discesa in basso più del Porcellum, ma a partire dal metodo con cui la si sta approvando, imponendo ai parlamentari il voto di Fiducia, si è riusciti nell’impresa. Il modello scelto non garantisce la governabilità, ci fa scegliere solo parzialmente i nostri rappresentanti, lascia a quattro leader di partito la decisione su chi andrà e chi non andrà alle Camere. Per garantire i numeri necessari ad approvare il testo il Pd ha fatto larghe concessioni, riducendo la soglia di sbarramento che serviva ad Alfano e recuperando persino i partitini che arrivano in coalizione all’1%. Nonostante tutto restava però il rischio di cadere su qualche emendamento a voto segreto e tradendo ogni impegno il Governo ha blindato il voto in aula. Una macchia nel percorso tutto sommato dignitoso del premier Gentiloni. A beneficiarne politicamente ovviamente ci sono le opposizioni, con i Cinque Stelle a farsi uno spot in piazza, ma un tale epilogo va benissimo anche a Matteo Renzi, spettatore interessato del colpo di mano che fa fare una brutta figura al Presidente del Consiglio. Una cinica rivalsa, visto che indicando Gentiloni per tenergli il posto dopo il flop del referendum costituzionale, il segretario del Pd non immaginava certo di vederselo tra i possibili ostacoli sulla strada per tornare a Palazzo Chigi. La legge elettorale che passa in giornata consegna infatti alle larghe intese il prossimo governo del Paese. E Gentiloni nelle larghe intese ci sguazza.
Il punto è cosa si potrà fare in futuro riscaldando la minestra già consumata con Enrico Letta, Renzi e Gentiloni. Un Governo frutto del compromesso tra Pd e centrodestra avrà tutti gli stessi limiti degli esecutivi che hanno tirato a campare nella legislatura che va a concludersi. Con una sola differenza: mentre Letta lo ammise da subito che non poteva far altro che piccole riparazioni al Paese utilizzando il cacciavite, e Gentiloni con altrettanta umiltà spiegò sin dall’insediamento che avrebbe fatto quel che poteva fin quando non si staccava la spina, Renzi si era presentato come il rottamatore e un programma di riforme corpose e dirompenti. Poi abbiamo visto quanto si siano dimostrate minuscole leggi come il Jobs Act, frutto di compromessi sotto banco con il sindacato che alla luce del sole si dichiarava di voler vedere il meno possibile. La stessa riforma costituzionale aveva al suo interno molte tiepidezze e se il quattro dicembre il referendum non fosse andato com’è andato c’è da stare certi che oggi non si approverebbe il Rosatellum ma una legge elettorale “su misura” per il segretario del Pd.
Privilegi – Arriviamo così ai nostri giorni, con una norma che lascia ai partiti il privilegio di nominare molti parlamentari, sottraendo questo diritto ai legittimi proprietari: i cittadini. Un errore fatale, perchè per salvare la cadrega di Lor signori si allontanano ancora di più i cittadini dal Palazzo. Se infatti prima ancora di iniziare a giocare si sa già chi sarà eletto, che alleanze verranno fuori, addirittura già oggi è possibile immaginare chi andrà a Palazzo Chigi o farà il ministro, allora non c’è più gusto a giocare. E con questo Rosatellum i giochi – quelli veri – sono fatti. E il vincitore è solo uno. Che i Cinque Stelle arrivino primi, secondi o terzi cambia poco. Centrodestra e Pd, qualunque sarà il loro ordine di arrivo, si metteranno d’accordo per prendersi tutto il cucuzzaro. Dunque non ci sarà da sorprendersi se la domenica del voto tantissimi italiani avranno di meglio da fare che andare ai seggi. Esercitare il diritto elettorale è sacro, ma se il voto non serve a niente, alla fine molti preferiranno stare a casa piuttosto che farsi prendere in giro.