La partita della manovra si intreccia inevitabilmente con la riforma del Patto di stabilità. Non è un caso che negli ultimi giorni diversi esponenti del governo abbiano richiamato l’importanza di approvare entro fine anno le nuove regole fiscali. In realtà quello dell’esecutivo è poco più di un bluff. Innanzitutto perché così mettono le mani in avanti per poi poter dire, qualsiasi sia il risultato, che hanno ottenuto il massimo evitando il ritorno delle vecchie regole. E poi perché la vera speranza del governo Meloni è che la riforma venga rinviata di qualche mese, slittando al 2024 e permettendo di avere un altro anno di sospensione del Patto di stabilità.
La partita della prima manovra del governo Meloni si intreccia inevitabilmente con la riforma del Patto di stabilità
Al momento le ipotesi sulla riforma sono tre, con una variante. La prima, quella forse meno probabile, è il ritorno alle vecchie regole che tanto spaventa il governo. Una variante di questa opzione è il ritorno alle vecchie regole, ma con delle modifiche, come delle deroghe sugli investimenti che non verrebbero conteggiati nel 3% di deficit. La seconda ipotesi è quella di approvare la riforma in tempo per il nuovo anno.
La terza si verificherebbe in caso di mancato accordo in sede europea: si potrebbe a quel punto decidere di applicare un altro anno di sospensione, complice anche l’inflazione che scende troppo lentamente. Proprio questa opzione è quella che potrebbe essere più gradita al governo. Nella maggioranza c’è già chi si augura che finisca così per poi provare ad allargare le maglie della spesa senza un tetto al deficit. E poi, ai conti in rosso, ci si penserà tra un anno.
La trattativa in Ue resta complicata. Da una parte c’è il blocco tedesco, composto anche da Austria, Finlandia e Olanda. Dall’altra l’Italia è spalleggiata da Francia, Spagna, Belgio e Grecia (i Paesi con debito più alto). Potrebbero usare come arma una sorta di protesta contro la Commissione che avrebbe concesso troppi aiuti di Stato alla Germania (quasi la metà del totale a fronte di un 24% del Pil).
Al contrario di ciò che dice in pubblico la maggioranza si augura il congelamento dei paletti sul deficit
La vera partita, però, resta quella sugli investimenti da scorporare dal conteggio del deficit. Ridimensionare le resistenze tedesche non sarà facile. Ed è difficile pensare che Giorgia Meloni possa davvero contare su una sorta di ricatto col Mes: la ratifica potrebbe essere utilizzata come leva per ottenere altro. Ma rischia di diventare un boomerang, facendo solo innervosire i partner che da mesi pressano Roma sul tema.