Ma davvero ce lo vedete Di Maio che un giorno si schiera con i gilet gialli in Francia e quello dopo copre di soldi le banche, facendo copia e incolla con il Governo di Renzi e Boschi? Ovviamente la politica italiana ci ha abituato ai leader con due parti in commedia, ma paragonare la vicenda di Banca Carige con i salvataggi dei quattro istituti in risoluzione, tra cui Banca Etruria, o le due grandi Popolari venete, è improponibile.
I governi Renzi e poi Gentiloni affrontarono le crisi in modo diverso, nel caso del Monte dei Paschi entrando direttamente nel capitale, negli altri concedendo le garanzie necessarie a salvare gli istituti ma non gli obbligazionisti, in molti casi piccoli risparmiatori che avevano investito nello sportello sotto casa il frutto di anni di sacrifici. Per risarcire questi sventurati investitori il Governo di Giuseppe Conte ha stanziato un miliardo e mezzo nell’ultima Manovra, e soprattutto ha tolto lo scudo che impedisce a chi è stato danneggiato di far causa agli istituti di credito dopo aver incassato il risarcimento pubblico, con il quale si dovrebbe arrivare a coprire fino al 95% di quel popolo che si è autodefinito dei “truffati dalle banche”. Nel caso della Cassa di Risparmio di Genova, invece, lo Stato ha prestato in una situazione d’emergenza le garanzie per evitare un danno irreparabile, cioè il default e a quel punto la perdita delle somme investite dai risparmiatori. Nessuno escluso.
Con il suo intervento, insomma, il Governo ha tutelato essenzialmente i risparmiatori, prendendosi carico di una nuova piaga abbattutasi sul capoluogo ligure già piegato dal crollo del ponte Morandi. Tutto questo non ha impedito al Pd di buttarla in caciara, facendo di tutta l’erba un fascio e provando a mettere nello stesso calderone le diverse operazioni di salvataggio, alimentando la rappresentazione di una maggioranza politica che non mantiene le promesse elettorali e in fin dei conti sta facendo le stesse cose di chi c’era prima.
D’altronde nel grande frastuono della propaganda, e in una rappresentazione sempre più partigiana sulla stampa, è facile confondere provvedimenti molto tecnici. E poi, mentre ci siamo, metterci dentro suggestioni malevole, come il sospetto di aver accordato proprio a Carige una corsia preferenziale per il solo fatto che nel suo vecchio Consiglio di amministrazione è stato a lungo uno dei più noti avvocati del Paese, quel Guido Alpa con il quale il premier Conte ha collaborato a lungo.
Siamo insomma ai retropensieri più ardimentosi, in una perenne caccia alle streghe che fa perdere di vista il bene comune e i due elementi indispensabile per non ritrovarci in altri disastri: l’accertamento delle responsabilità nella mancata vigilanza e una negoziazione con le autorità europee di nuove regole sulle banche. Nel primo caso ieri sono stati i senatori Lannutti e Paragone a richiamare i Cinque Stelle a istituire una commissione capace di dirci cosa stesse facendo la Banca d’Italia quando saltavano come birilli tante nostre banche. Un lavoro già fatto negli ultimi mesi della scorsa legislatura, ma arenatosi su conclusioni che non hanno affondato il coltello nelle responsabilità, al di là dall’aver dimostrato una serie di interventi della Boschi, in pieno conflitto d’interessi, per far salvare da qualche grande istituto di credito la Banca Etruria, di cui il padre era vicepresidente.
Il lavoro più difficile è però l’altro, quello da fare in Europa, e che può avere una piccola possibilità di successo solo se l’Italia si batterà unita, senza divisioni tra partiti di governo e opposizione. La grande crisi dell’economia italiana è arrivata con il credit crunck determinato dalle restrizioni di Basilea. Regole fatte su misura per le imprese nordeuropee, molto più capitalizzate di quelle di casa nostra, alle quali le banche hanno dovuto ridurre gli affidamenti. Regole che non sono il Vangelo e che una decisione politica può allentare, rimettendo in circolo tanto di quel denaro da far ripartire gli investimenti privati e, di riflesso, tutta l’economia.