La Lega ci riprova. Al partito di Salvini l’idea di fermare le trivellazioni in mare non è mai piaciuta. Tra difesa dell’ambiente e dei petrolieri i leghisti non hanno mai avuto tanti dubbi su cosa scegliere. Hanno ceduto alla fine alle pressioni dei pentastellati e lo hanno fatto con molti mal di pancia. Ecco dunque che, alla prima occasione, subito hanno cercato di far saltare pali e paletti per rimettere in moto le trivelle. Un tentativo di colpo di mano compiuto con un emendamento al decreto legge, in fase di conversione, sulle misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi. Ma la manovra non è passata e l’emendamento è stato dichiarato inammissibile.
L’INIZIATIVA. A piazzare mine sul provvedimento preso per stoppare le perforazioni in mare, che tanti danni arrecherebbero all’ambiente e assai pochi vantaggi alle aziende italiane, è stata la deputata Laura Cavandoli (nella foto), avvocato di Parma che, dopo essere stata sconfitta nella sua città due anni fa quando tentò di sbarrare la strada a una riconferma del sindaco Federico Pizzarotti nel 2018 è stata eletta alla Camera. L’emendamento presentato dall’onorevole puntava a revocare il blocco delle trivellazioni, disposto nell’attesa che venga varato un Piano nazionale utile a stabilire dove è possibile fare tali ricerche, e anche a ritardare l’aumento dei canoni per quanti attualmente svolgono tali attività. Un emendamento presentato alla Commissioni Bilancio e Finanze, riunite per l’esame della conversione del decreto legge.
ADDIO INTESE DI GENNAIO. Una proposta in grado di far saltare tutta la difficile intesa raggiunta a gennaio e confluita nella legge sulla semplificazione per le imprese e la pubblica amministrazione. Cavandoli mirava infatti ad abolire la sospensione dei permessi di prospezione o di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi decisa fino a quando non verrà varato il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee. Via libera così alle trivellazioni. L’emendamento prevedeva poi, tra l’altro, che le attività di ricerca o coltivazione in corso, anche se fosse stato adottato il Piano, andassero comunque avanti pure nelle zone ritenute dallo stesso Piano non idonee. Infine la deputata avrebbe voluto far slittare l’aumento dei canoni per i petrolieri, che anziché iniziare a pagare di più dal 1 giugno di quest’anno avrebbero dovuto allentare i cordoni della borsa solo dal 1 dicembre 2020.
TENSIONI IN VISTA. Il tentativo di smantellare il lavoro fatto sul delicato fronte delle trivellazioni dal Movimento Cinque Stelle, che in passato sul tema tanto ha criticato il Pd, sostenendo che avesse abdicato all’obbligo di tutelare l’ambiente naturale per accontentare i potenti del petrolio, rischia così di aprire un altro fronte tra la Lega e gli alleati. Sul NoTriv, subito subissati dalle critiche per non aver fermato immediatamente le trivellazioni, tanto si sono spesi lo stesso vicepremier Luigi Di Maio e il ministro dell’ambiente, Sergio Costa. Pensare che i pentastellati possano accettare che le trivelle tornino ad essere considerate una priorità strategica per il Paese e che tutte le loro fatiche finiscano nel tritacarte appare tanto improbabile quanto impossibile. La moratoria di 18 mesi sulle ricerche sembra sempre più un’altra linea del Piave. Una resa dei conti forse solo rimandata.