Difficile pensare che non ci sarà una ripercussione sulla delicatissima partita delle nomine. A questo punto, infatti, il potere di interdizione della Lega potrebbe crescere sensibilmente. A giocare in tal senso è soprattutto l’arresto di Luca Lanzalone, presidente di Acea e ascoltato consigliere di Virginia Raggi, finito (con altri) nell’ultima inchiesta “capitale” sullo stadio della Roma. Il fatto è che in queste settimane Lanzalone si stava ritagliando un ruolo di “king maker” pentastellato all’interno del grande festival delle poltrone pubbliche. Il tutto in contatto con Stefano Buffagni, fresco sottosegretario a Palazzo Chigi. Per dire, era stato lo stesso Buffagni, sul finire della scorsa settimana, a bocciare Massimo Sarmi come amministratore delegato della Cassa Depositi e Prestiti gradito alla Lega. “Non rappresenta il cambiamento”, aveva tagliato corto.
La posta in gioco – E proprio sulla battaglia per la Cdp, che grosso modo dovrebbe decidersi a fine mese, potrebbe avere effetti il declino di Lanzalone. Lui stesso veniva considerato come una possibile carta a sorpresa per i vertici della Cdp, finora già opzionati dal mondo delle fondazioni bancarie, almeno per quanto riguarda la presidenza. Dopo la bocciatura di Sarmi sembrava che i Cinque Stelle avessero conquistato margini di movimento in chiave anti-leghista. Aveva ripreso corpo l’ipotesi di Dario Scannapieco, vicepresidente della Bei molto stimato da Mario Draghi, come Ad di Cassa Depositi al di sopra degli schieramenti. Dopo l’ultimo terremoto romano, però, la situazione ritorna nella confusione più totale, con la Lega pronta ad approfittare dello smottamento dell’alleato. Questo non comporta automaticamente un ritorno in gioco di Sarmi, ma una ricalibratura dei poteri. Agli osservatori più attenti non è sfuggito il significato della nomina a viceministro dell’economia del leghista Massimo Garavaglia, profondo conoscitore della Cdp dopo esserne stato per tanti anni consigliere di amministrazione. In fondo il punto è un po’ questo: il colpo subìto da Lanzalone fa emergere con ancora maggiore nettezza l’assenza di una vera “infrastruttura” amministrativa nei 5 Stelle. Parliamo di quel mondo di manager, burocrati, politici dalle vaste frequentazioni senza i quali diventa difficile azionare la macchina di Governo. Qui la Lega la sa molto più lunga. Non per niente, tanto per fare qualche esempio, al ministero dell’istruzione, guidato dal tecnico leghista Marco Bussetti, è rientro in gioco come capo di gabinetto Giuseppe Chiné, che aveva rivestito lo stesso incarico alla Salute con Beatrice Lorenzin ed era stato capo ufficio legislativo del Mef a cavallo dei Governi Berlusconi-Monti-Letta. E non per niente lo stesso Matteo Salvini ha nominato come suo capo di gabinetto al Viminale Matteo Piantedosi, già vicecapo di gabinetto dell’allora ministra Annamaria Cancellieri.
Uomini forti – Ma forse la capacità della Lega di inserirsi negli ingranaggi amministrativi è incarnata meglio di chiunque altro da Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del consiglio che con le ultime disavventure grilline potrebbe conquistare ulteriore terreno. Tra le nomine in ballo, per dire, c’è quella al vertice del Gse, la società del Tesoro che gestisce 16 miliardi di euro l’anno di incentivi alle rinnovabili. C’è la partita di Alitalia, sulla quale aveva buttato un occhio lo stesso Lanzalone, attirato dai compensi di uno dei commissari, Enrico Laghi. Un piatto molto ricco.