Non c’è pace per le Camere di Commercio. L’ultimo capitolo lo scrive la Lega di Matteo Salvini. Con un’interrogazione presentata al Senato da Gianfranco Rufa (primo firmatario) per chiedere al ministro dello Sviluppo economico (Mise) di “modificare i criteri per il riordino e la razionalizzazione” degli enti camerali “tenendo conto primariamente del principio di volontarietà nel procedimento di accorpamento”. Insomma, una vera e propria dichiarazione di guerra all’ultimo decreto firmato da Carlo Calenda il 18 febbraio scorso.
Tagli difficili – Una vicenda, peraltro, quella del riassetto delle Cemere di commercio iniziata due anni fa con un decreto legislativo che, ricorda Rufa nell’interrogazione, ha fissato “i criteri per il riordino e la razionalizzazione” degli enti camerali dul territorio nazionale. In particolare “dettagliando il piano di accorpamenti” per ricondurli “obbligatoriamente entro il limite numerico di 60”. Un intervento legislativo cui ha fatto seguito, l’8 agosto 2017, un decreto del ministro dello Sviluppo economico per la “rideterminazione delle circoscrizioni territoriali”, l’“istituzione di nuove Camere di commercio” e l’introduzione di misure per la “razionalizzazione delle sedi e del personale”. Capitolo chiuso? Neanche per sogno. Il decreto del Mise è finito, infatti, nel mirino della Corte Costituzionale che, adottato in mancanza dell’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, ne ha dichiarato l’illegittimità. Ciononostante, si legge nell’interrogazione del senatore della Lega, “il ministero dello Sviluppo economico”, con un ulteriore decreto adottato il 16 febbraio di quest’anno, “ha riadottato, con gli stessi contenuti, il decreto dell’8 agosto 2017 (dichiarato illegittimo dalla Consulta, ndr), disponendo contestualmente la cessazione dell’efficacia di quest’ultimo”. Il tutto nonostante “il mancato raggiungimento dell’intesa con la Conferenza Stato-Regioni”, richiesta dalla Corte costituzionale come requisito necessario, che ora, avverte Rufa, “potrebbe aprire la strada a nuovi ulteriori contenziosi, che rischiano di bloccare nuovamente il processo di riforma del settore camerale”.
Criteri contestati – Anche perché, argomenta l’interrogazione della Lega, “i criteri utilizzati per l’accorpamento delle Camere di commercio non sempre rispondono alle reali esigenze del territorio, mettendo in discussione la naturale vocazione delle imprese che vi operano a danno del tessuto economico del Paese”. Senza considerare che il decreto, “non tenendo conto della volontà di accorpamento eventualmente manifestata dagli enti camerali interessati”, potrebbe “obbligare all’unificazione realtà economiche assolutamente distanti tra loro, con ricadute negative, non solo sull’economia del territorio, ma anche sulla qualità dei servizi offerti ad imprese e cittadini”. Incassato il via libera della Corte dei Conti, Calenda ha comunque deciso di varare il discusso decreto anche senza l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni. La riassetto è partito. I ricorsi potrebbero arrivare.