Un abbattimento del 20 per cento, almeno, di gas importato. Grazie alla lotta alla burocrazia che oggi paralizza le rinnovabili. Una boccata di ossigeno, pulito, di questi tempi. Con un impatto positivo sull’occupazione, stimabile in 10-15mila nuovi posti di lavoro. Parlare di ricetta facile è senza dubbio semplicistico. Ma i numeri, si sa, hanno la testa dura.
Utilizzando le energie rinnovabili ci sarebbe un abbattimento almeno del 20% di gas importato
E sono difficili da smentire: una procedura più semplice per installare impianti di delle fonti green farebbe calare la domanda di 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno. I buoni esempi non mancano, come “il progetto Elettrificazione verde della Sardegna promosso da Enel e Università degli Studi Roma Tre per la decarbonizzazione dell’isola”, illustrato dalla deputata di FacciamoEco, Rossella Muroni.
Peccato che l’immobilità del governo italiano, con le titubanze di Mario Draghi e Roberto Cingolani, lasci il Paese in una condizione di arretratezza. Per carità, le responsabilità sono legate anche ai ritardi del passato. Ma il presidente del Consiglio e il ministro della Transizione ecologica dormono un lungo sonno che ci mette alla canna del gas: si affannano a reperire energia inquinante, tra Algeria e Qatar, e la mai sopita fascinazione per il nucleare. Proprio ieri sdoganato da Draghi, mentre il mondo è in apprensione per le centrali di Chernobyl e di Zaporizhia.
Europa Verde ha quindi presentato un’interrogazione alla Camera per chiedere di “accelerare in maniera sensibile ed urgente il processo di installazione delle Fer-E (Fonte energetiche rinnovabili, ndr), anche con ulteriori interventi di semplificazione dei processi autorizzativi”. Chiedendo, nell’immediato, di “intervenire verso le aziende energetiche che hanno maggiormente beneficiato dell’aumento dei prezzi del gas, accumulando extraprofitti dell’ordine di 4 miliardi di euro nel 2021, che si stima possano crescere fino a 14 miliardi nel 2022”, dice a La Notizia Cristian Romaniello, deputato di Europa Verde.
Le lamentele non arrivano solo dagli “ambientalisti radical chic”, secondo una celebre definizione di Cingolani. Ad aprire i cahier de doleances è stata l’associazione Elettricità futura, che mette insieme varie imprese del settore. Secondo un dossier, il 50% delle proposte di nuovi impianti di rinnovabili è bloccato. Mentre l’altra metà è frenata della burocrazia: in media la realizzazione avviene dopo 7 anni dall’inizio dei lavori. La legge prevede, invece, la chiusura dell’iter in un anno.
“È vero che circa il 40% dell’elettricità viene oggi prodotta con le rinnovabili, ma il restante 60% dipende principalmente dal gas, cioè da un combustibile che la crisi ucraina mette in buona parte a rischio”, osserva l’associazione. E non solo. Ci sono “gravi ed inaccettabili ritardi. A fronte di un incremento previsto dell’ordine di 8 gigawatt, da installare ogni anno per conseguire i target europei, si registrano installazioni ancora non superiori ad 1 gigawatt l’anno”, denuncia l’atto presentato a Montecitorio da Ev.
E Romaniello aggiunge: “Quello che è inaccettabile è che, come mostrano i numeri di Terna, a fine ottobre scorso erano pervenute richieste di autorizzazione per impianti eolici e solari sulla terraferma pari a 130GW, cui vanno sommati 22,7 GW di richieste per pale eoliche da mettere in mare”. Insomma, è necessario un cambio di passo. I risultati non saranno immediati, si dovrà aspettare qualche mese. Ma se non si inizia mai sul serio, sarà difficile assistere a un’inversione di tendenza.