“Chi ama il rock non cambia radio, ascolta Virgin”, esordisce Ringo, uno dei pochi protagonisti della Radio italiana riuscito a superare indenne le profonde modifiche degli ultimi decenni nell’ascolto, nelle tecnologie, nei gusti musicali. Le cose cambiano ma lui resta lì, coerente con il suo personalissimo modo di intendere la professione di DJ.
Partiamo dal principio: com’è nata la tua passione per la musica e la radio?
“Prima della mia esperienza americana – fine anni ‘70/inizi ‘80, da ragazzino – ho iniziato a trasmettere in piccole realtà di Milano, e ricordo ancora adesso con piacere quei trascorsi. Era un tipo di radio completamente diversa, si sognava di più. Pur essendo emittenti piccolissime mi hanno dato tanto. Se ancora oggi lavoro in radio è grazie a queste vecchie avventure. Poi, dopo cinque anni di permanenza in America, nell’86 tornai da Los Angeles e aprii con i miei soci la discoteca Hollywood, che Gigio D’Ambrosio frequentava. Proprio lui insistette affinché tornassi a trasmettere e così ricominciai sia su 101 che sulla nuova Rock FM”.
Un giovane oggi come, e soprattutto perché, dovrebbe avvicinarsi alla radio?
“L’unico motivo può essere che se ne innamori; la passione. I ragazzi sono distratti dai social, da interessi diversi. Oggi con uno smartphone puoi avere un podcast, tutti i social, puoi caricare su YouTube i tuoi video. I più giovani hanno Tik Tok. A loro, probabilmente, dà più emozione fare delle story di pochi secondi piuttosto che alzarsi la mattina, andare alla radio, impiegando gran parte della giornata. Il giovane cerca qualcosa di più immediato e veloce. Ci sono ancora alcuni con passione che vogliono fare questo mestiere, però sono meno giovani”.
Un’esperienza particolare è stata “Codice RAP” con Paolo Maldini…
“Paolo ama molto la musica, è venuto ospite a 105 un paio di volte e ci siamo inventati un programma che è diventato anche una compilation. RAP nel senso di Ringo and Paul. Sono molto orgoglioso di quel programma, sono stato un precursore. Lo stesso non appena ripenso che nel 2000, quando lasciai 105 e andai a RTL, con Suraci inventammo Hit Channel, la prima radiotelevisione. Adesso la fanno tutti, ma quella è stata la prima. Inventammo il banner azzurro per fare vedere gli sms, facendo incavolare le case discografiche perché, a loro dire, coprivamo i video. Si vedeva in tutta Europa via satellite. Il fatto che adesso tutte le radio abbiano la televisione per me è motivo di orgoglio. Ricordo ancora il primo video mandato in onda fu di Marilyn Manson”.
La radiovisione oggi è utile? O toglie un po’ di magia?
“Toglie ma, al contempo, dà molta energia alla radio. Aiuta tantissimo gli ascolti. Parlandoti da consumatore (e non da addetto ai lavori) non tutti sono telegenici. Allora puoi fregartene della telecamera e pensare solo alla radio, ma poi ti ricordi che la telecamera c’è, e allora si vedono espressioni e movimenti strani, magliette orrende. Se invece vuoi fare televisione, devi avere le luci giuste, devi truccarti, va fatta bene. Così capita che molte volte i radiofonici se ne freghino, affermando di voler fare solo la radio, e questo un po’ cozza. Quindi la tv toglie parte della magia. E magari, senza l’immagine, con la sola radio, può essere bello immaginarsi i personaggi in modi diversi”.
Consideri fondamentale inseguire gli ascolti anche per una radio tematica come Virgin o è più importante il prodotto, proporre musica di qualità?
“A Virgin non ci lamentiamo: abbiamo un ottimo ascolto, siamo a quasi 3 milioni, e per un pubblico ‘di nicchia’ questi numeri valgono per dieci volte. Noi abbiamo un quarto d’ora pazzesco: chi ama il rock non cambia radio, ascolta Virgin. Invece chi cerca una musica più generalista, gira fra i vari network. Abbiamo la fortuna di non dover rincorrere colossi come RTL, Deejay, 105. Noi siamo più giovani tra l’altro, Virgin è nata nel 2007, e non ci poniamo nessun problema, facciamo la radio come vogliamo farla, con passione. E questo ce lo riconoscono tutti. Le altre radio musicalmente mi sembrano tutte uguali. Proponiamo anche pezzi che io stesso ho scoperto su Spotify. Il nostro ‘ufficio musica’ con Filippo Colombi, il nostro Station Manager Alex Benedetti e io stiamo attenti alle college radio americane, alle indie radio inglesi e americane. Peschiamo molto dal sottosuolo internazionale. Ovviamente ascoltiamo anche le proposte dei discografici”.
Nella tua carriera hai incrociato tantissimi artisti italiani e internazionali.Ci racconti una storia che ti ha colpito?
“A fine anni ’90 intervistai Bowie 2 volte, una a Londra e una quando venne a Sanremo. A Londra parlammo tantissimo, oltre l’intervista, prese un tè con me e continuammo a confrontarci anche dopo. Successivamente ero a Sanremo, arrivò con le guardie del corpo, i discografici, a un certo punto frenò, fermò il gruppo e mi salutò con la mano: “Hey Ringo, how are you?”, non puoi capire l’emozione e la felicità, Bowie si ricordava di me, persino del mio nome…”.
Hai recitato in vari film, ma in due hai interpretato te stesso.
“Sì, in “Vita Smeralda di Jerry Calà e in “Un Natale per due” di Giambattista Avellino, con Enrico Brignano e Alessandro Gassman. Nel primo ero lì per caso, per aiutare Jerry a scegliere le musiche e lui mi disse “già che sei qua fai Ringo”. Mi sono divertito. Nel secondo, nella scena in radio dissi subito “io sono Ringo e basta”, senza alcun nome d’arte per il film. Fu emozionante (perché è una scena seria), Ringo, il DJ rock, in una radio rock, per una serie di circostanze passa Pupo”.