Di Thomas Mackinson per Il Fatto Quotidiano
Dal Tesoro assicurano che si tratta solo di una “svista”, un errore che risale all’insediamento del nuovo governo. Fatto sta che lo strumento-bussola che doveva servire a monitorare i trasferimenti dello Stato per far fronte ai crediti delle imprese è fermo, incredibilmente, da quattro mesi. “Il prossimo aggiornamento è previsto per il 23 aprile 2014” si legge sul sito del Mef appositamente dedicato al pagamento dei debiti delle amministrazioni pubbliche. Ma la verità, forse, è un’altra. Il buio sui pagamenti effettivi è anche un modo per non smentire l’ottimismo che il presidente del Consiglio Matteo Renzi sparge da mesi su un tema che nel frattempo è esploso, diventando emergenza per l’economia del Paese, fardello intollerabile sulla ripresa, ferita aperta alle regole del mercato e ai principi dello Stato di diritto, zavorra che affonda il debito pubblico. Difficile, per chi ha promesso tanto, spiegare che a fronte di tutto questo un credito su due è ancora da pagare.
L’ultima fotografia è dunque quella relativa alle azioni dei governi precedenti, i decreti Monti (dl 35/2013) e Letta (102/2013) relativi ai debiti accertati al 31 dicembre 2012, per i quali sono stati messi sul piatto 47 miliardi di euro da erogare nel biennio 2013-2014. Racconta che di quella massa finanziaria immessa nel circuito delle pubbliche amministrazioni è stata pagata una quota pari a 23,5 miliardi, altrettanto (22 miliardi) era da pagare nel 2014. Delle liquidazioni successive non si ha più notizia. Le slide bollinate dal Ministero si sono fermate, in barba alle buone pratiche di trasparenza ed efficienza. Da allora, fa sapere il Mef, a fronte di 56.839 milioni di euro stanziati, i pagamenti effettivi registrati ammontano oggi a 26.139 milioni. In pratica la metà dei crediti esigibili al 31 dicembre 2013 è ancora tutta da saldare. Le sole liquidazioni spendibili, in altre parole, sono ancora riferibili alle azioni dei precedenti governi. Da quello incarica sono piovute invece sopratutto promesse. “Paghiamo tutto entro luglio”, annunciava mesi fa il capo del governo. Anzinò, entro settembre. E ora che siamo vicini all’ennesima scadenza, è partita la caccia al Tesoro per trovare i 31 miliardi che servono a tenere fede all’ultima promessa: pagare tutto entro due mesi.
La bomba dei debiti e l’esplosione degli annunci
Il fatto è che su su via XX Settembre sembra si sia abbattuta la “bomba” Renzi. Impossibile, anche per i tecnici del Mef, star dietro ai proclami del nuovo presidente del Consiglio. Matteo Renzi ne ha collezionati una serie, salvo procrastinarli di mese in mese. Premier da tre giorni, a Ballarò annunciava che “La Cassa Depositi e Prestiti in 15 giorni permetterà di sbloccare i 60 miliardi che sono bloccati per i debiti della P.A”. Due settimane dopo, all’uscita da un Cdm, confermerà lo sblocco “immediato e totale dei debiti della P.a”, ma per i 22 miliardi già stanziati dal governo Letta, mentre altri “68 miliardi li pagheremo entro luglio”. Cioè cinque mesi dopo rispetto al primo impegno. Ma non è poi un problema, perché il giorno dopo Renzi cambia poltrona e versione. Da Bruno Vespa torna sul tema, procrastinando lo sblocco al 21 di settembre. “Per San Matteo, ultimo giorno d’estate, se ci riusciamo lei va in pellegrinaggio a piedi da Firenze a Monte Senario”, dirà al conduttore.
Tra i debiti scaduti nel 2013 uno su due è ancora da pagare
Mercoledì scorso, in audizione al Senato, il ragioniere generale dello Stato Daniele Franco ha diffuso però alcuni numeri che confermano il ritardo nelle liquidazioni delle fatture. Tra il 2013 e 2014 (vedi Tavolo 1) sono stati stanziati 56,8 miliardi di euro, le risorse assegnate sono state pari a 43,1 miliardi e quelle rese effettivamente disponibili 30, cioè il 63% del totale. I pagamenti effettuati sono stati invece pari a 26,1 miliardi di euro. In pratica, meno della metà dello stock di debito accumulato nel 2013 è stato pagato, anche se i soldi (teoricamente) sono disponibili. ”Nei prossimi mesi ci sarà un aumento significativo dell’entità pagata”, ha spiegato Franco, conteggiando in 75 miliardi lo stock del debito pregresso (per la Banca d’Italia erano 91, ma il dato contiene anche i debiti non scaduti).