Sinistra riformista contro sinistra masochista. Nel lessico alquanto variegato e sempre più pirotecnico della politica italiana questa contrapposizione mancava all’appello. A colmare la lacuna ha provveduto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che sintetizza così il conflitto in campo, non solo all’interno del Pd. Il centrodestra è in crisi, ma niente illusioni: la partita rimane difficile, avverte il premier, anche perchè Silvio Berlusconi ha sette vite come i gatti e non è escluso che possa dare compimento al progetto di mettere in piedi un partito repubblicano all’americana. Nell’attesa, occorre fronteggiare le spinte centrifughe all’interno del partito, tenendo d’occhio ciò che si muove attorno.
CONFUSIONE A SINISTRA
L’uscita di Pippo Civati e l’eventuale addio di Stefano Fassina non preoccupano Renzi: “Se Fassina va via è un problema suo, non mio”. Parole, quelle del premier, che fanno scattare la reazione della minoranza dem. Gianni Cuperlo sottolinea che “se persone valide come Civati e Cofferati lasciano il Pd, o Fassina riflette a voce alta sulla possibilità di fare la stessa cosa, la replica non può essere che è un problema loro: se sei il leader del partito il problema è tuo, il problema è nostro”. Parole sottoscritte anche dall’ex capogruppo alla Camera, Roberto Speranza. Insomma, l’inquilino di Palazzo Chigi vuol mollare la zavorra per volare sempre più in alto, come fanno i piloti delle mongolfiere, mentre la minoranza dem non vuol passare affatto per un’entità astratta, una sorta di fastidioso bubbone da eliminare. Sullo sfondo di questa polemica si fanno notare, e sentire, le scintille provocate dalla “grana” Campania. “Se ci sono dei candidati impresentabili, non si possono addebitare responsabilità al Pd, ma bisogna guardare alle liste che lo sostengono”, ha spiegato Renzi. Ma, è la risposta di Cuperlo, “se ti candidi a guidare una regione come la Campania devi respingere certi sostegni”. Insomma, è’ sinistra masochista quella che “perde un po’ ovunque, dalla Liguria a Londra”, che “scappa con il pallone quando perde” (vedi il caso Cofferati in Liguria) o quella che attacca il Jobs Act, “una rivoluzione di sinistra”.
IL PREMIER ALZA IL TIRO
E così Renzi, per rivendicare una identità di sinistra riformista per il Pd, mostra di non avere bisogno dei padri nobili del partito: “Non è che si è di sinistra solo se c’è D’Alema o Bersani”. Quest’ultimo, ovviamente, non ha affatto gradito. “E’ una mistificazione, abbiamo visto che si può vincere poco, tanto, pochissimo, ma si vince essendo fedeli ai valori e ideali del centrosinistra ed essendo alternativi al centrodestra. Dall’Ulivo in poi abbiamo sempre vinto così”, spiega ai microfoni del Tg1 l’ex segretario del Pd, rispondendo al premier che ha parlato di sinistra masochista. Il fatto è che il primo tempo delle amministrative, il voto in Trentino Alto Adige e in Valle d’Aosta, ha rappresentato una debacle per Forza Italia più che un successo del Pd. Non a caso il segretario-premier attacca cosi l’anima “masochista” del partito che in Liguria, come a Londra, preferisce perdersi nelle sue lotte intestine piuttosto che unirsi contro la destra: con il rischio, ammette il Rottamatore, di rivitalizzare Fi proprio nel suo momento di massima debolezza.
UNA VECCHIA STORIA
I litigi interni sono un vecchio vizio dell’area progressista (basti pensare ai dissidi dell’ Ulivo e dell’Unione), tuttavia non ha torto Pippo Civati quando si chiede come mai la candidata renziana in Liguria Raffaella Paita non abbia l’ottanta per cento dei consensi se i civatiani non contano nulla e Berlusconi è moribondo. La risposta implicita dell’uomo che potrebbe prima o poi essere seguito da altri dissidenti è che evidentemente il disagio politico nel Pd è assai superiore a quanto traspaia dai numeri, che la “mutazione genetica” del Partito della Nazione non sarà accettata tanto facilmente: le contestazioni alla riforma del Senato e della scuola ne sarebbero solo le prime avvisaglie.