E come nel gioco dell’oca il dibattito sulla riforma della legge elettorale ritorna alla casella di partenza senza passare dal via. Incredibile ma vero, direbbe qualche commentatore sportivo. Ma qui, di agonistico, c’è ben poco, essendoci di mezzo solo e soltanto tattica politica e strategia elettorale. Che non seguono schemi fissi, come nel calcio. E siccome il quadro attuale è troppo rischioso per la tenuta della maggioranza, aggravato dalle forti divisioni – tutt’ora persistenti – tra Pd e Pdl, meglio congelare tutto. E così Dario Franceschini e Gaetano Quagliariello devono prendere atto che il terreno è troppo scivoloso, scegliendo di lasciare la palla al Parlamento. Qualcuno, molto saggiamente, ha fatto notare che la strana coppia della strana magggioranza, in realtà, ha messo il cerino acceso nelle mani delle forze politiche, chiamandosi fuori non solo dalla partita più generale sulla riforma del sistema di voto, ma addirittura da quella sulla “clausola di salvaguardia”. Al termine di una giornata convulsa di riunioni, vertici, faccia a faccia, la mozione di maggioranza viene opportunamente “scremata” ed “epurata” da tutti quei punti controversi che rischiavano di “inquinare” (copyright Renato Brunetta) l’intero percorso delle riforme.
La decisione del governo di “chiamarsi fuori”, o a detta dei più maliziosi “lavarsene le mani”, viene presa nel pomeriggio, quando Franceschini e Quagliariello si trovano di fronte a nuovi veti incrociati di Pd e Pdl e a uno scoglio, quello relativo alle modifiche del Porcellum – che il Pd vuole ampie fino a ipotizzare la totale abrogazione dell’attuale legge e il Pdl invece insiste affinchè siano ritocchi minimali – che non sembra superabile. “Di legge elettorale non intendo occuparmene”, chiude il caso il ministro delle Riforme. Alla fine, si trova la quadra, ma solo su un impegno di massima: nella mozione di maggioranza non c’è nulla di più che l’indicazione della tempistica (tutto concluso entro 18 mesi) e nessun riferimento alla legge elettorale, se non un generico che sia “condivisa e coerente con le riforme istituzionali”. Un bel modo, tondo e roboante, per dire tutto e nulla. Insomma, la giornata politica porta a casa un accordo al “ribasso” che evita una rottura nella maggioranza, ma che mette a serio rischio proprio quella “safety net” su cui si era concluso il conclave di Spineto e sulla quale il premier Letta aveva più volte insistito. Proprio l’esecutivo però, e sono in molti a sottolinearlo sia nel Pd che nel Pdl, esce in parte “sconfessato”. Solo una settimana fa, infatti, al vertice di maggioranza era stata annunciata l’intesa sui ritocchi light al Porcellum, con tanto di data, il 31 luglio. E che sia solo l’inizio della grande frenata del governo Letta? Difficile fare una valutazione serena, certo è che a pesare sulla trattativa sono le divisioni tra Pd e Pdl, ma soprattutto le frizioni interne agli stessi partiti. Nel Pdl non si respira una bella aria: l’assemblea dei gruppi parlamentari – in realtà ne sono servite due per ristabilire una certa calma – evidenzia la spaccatura tra falchi e colombe.