Sempre più osteggiato, il decreto sul riordino del gioco d’azzardo non piace a nessuno. E nella proposta di legge spunta un articolo salva-aziende che consentirebbe di restituire allo Sato una concessione infruttuosa prima della scadenza. Ma andiamo per ordine. Il Decreto attuativo della delega fiscale che riguarda il riordino del settore del gioco d’azzardo, invocato a gran voce negli anni sia dalla politica che dagli operatori del gioco, non ha ancora visto la luce ma sembra già in agonia.
Il decreto sul riordino del gioco d’azzardo non vede la luce. Ma chi ha contratti infruttuosi può restituirli allo Stato
Diffidenti i Comuni e le Regioni per il timore di perdere la competenza di legiferare sui propri territori. Cautamente contrarie le associazioni di categoria delle piccole e medie imprese perché il riordino del solo segmento on-line potrebbe avere un impatto negativo sull’occupazione di migliaia di addetti e perché l’elevato costo delle concessioni concentrerebbe il mercato nelle mani dei grandi gruppi multinazionali. Freddi i concessionari, perché temono che il Decreto si riveli una mossa del Governo per applicare nuove tasse, nuove restrizioni e nuovi limiti.
Surreale poi che a non vedere di buon occhio la norma sia la Politica che dovrebbe partorirla, visto che il provvedimento previsto sul tavolo del Consiglio dei ministri lo scorso 3 novembre scorso è stato via via posticipato con qualsiasi scusa e si fatica ora a trovargli un iter nel lungo processo di approvazione. Il solito balletto che all’apparenza delude tutte la parti in gioco, ma che in realtà mette tutti d’accordo. Perché il gioco d’azzardo è materia scivolosa e complessa, resa ancora più ingarbugliata da una miriade di interventi spot calati sul tavolo dai vari governi che negli anni hanno avuto il solo intento di far cassa nell’immediato, senza avere mai il coraggio di affrontare una radicale riforma di un settore al quale tutti chiedono norme chiare ma soprattutto più denaro.
L’anno scorso il comparto ha generato un giro d’affari di 136 miliardi di euro di cui 11 per l’erario
Il risultato è che oggi riformare il gioco pubblico in Italia appare impresa impossibile a meno che non si affronti la sfida nella sua complessità e accettando l’idea di scontentare qualcuno: concessionari, operatori del settore, politica, associazioni di categoria e giocatori stessi. Chi gioca è spesso vittima di uno stigma sociale ma il gioco “è un importante contributore per l’erario” come si affrettano a ricordarci i politici invitati agli innumerevoli convegni sul gioco promossi dagli operatori. La verità è che il Decreto dovrebbe riformare un settore che nel solo 2022 ha generato un giro d’affari di circa 136 miliardi di euro, oltre 11 dei quali finiti nelle casse dell’erario e il timore che una riforma generale possa mettere in qualche modo in crisi questo gigantesco bancomat dello Stato è enorme; con tanti saluti alle norme a tutela dei giocatori e a quelle, invocate da molti ma mai applicate, volte ad una importante riduzione dell’offerta.
Affossata ancora prima di vedere la luce, dunque, la norma è andata a cozzare contro i soliti interessi consolidati e sembra non spaventare più gli addetti ai lavori. Nel dubbio, comunque, qualcuno si è attrezzato: la solita manina ha infatti inserito nel provvedimento un articolo, preso in prestito dal Codice degli Appalti, che consentirebbe alle (già ricche) aziende di ricontrattare o restituire allo Stato concessioni infruttuose o poco redditizie. Con tanti saluti al tanto sbandierato rischio di impresa e, soprattutto, all’interesse pubblico.