Il fermento che accompagna il dibattito sui contenuti da inserire nella prossima legge di bilancio e che da giorni anima il mondo della politica è stato temporaneamente sospeso dalla proposta del bonus per i matrimoni religiosi avanzata dalla Lega alla Camera. A poche ore dalla presentazione della misura, tuttavia, il Carroccio ha fatto rapidamente marcia indietro dopo aver constatato che l’iniziativa ha mandato su tutte le furie non solo l’opposizione ma anche la Chiesa.
Retromarcia della Lega sul bonus per i matrimoni religiosi
Fino a 20 mila euro di detrazioni fiscali per coprire il 20% delle spese: era questa l’idea che si trovava alla base del cosiddetto “bonus matrimonio” elaborato dalla Lega e destinato esclusivamente ai matrimoni religiosi.
Il primo firmatario del disegno di legge è il vicecapogruppo della Lega alla Camera, Domenico Furgiuele, che nella giornata di domenica 20 novembre ha dichiarato: “La proposta è volta a incentivare il settore del wedding e prevede un bonus destinato ai soli matrimoni religiosi solo a causa di questioni di oneri”.
Eppure, secondo le intenzioni dello stesso Furgiuele, la misura “durante il dibattito parlamentare sarà naturalmente allargata a tutti i matrimoni, indipendentemente che vengano celebrati in chiesa oppure no”.
La proposta, inoltre, fissa un criterio anagrafico. A beneficiare del bonus, infatti, sarebbero solo gli sposi under 35. La coppia, ancora, non dovrebbe superare complessivamente un ISEE di 23 mila euro e dovrebbe essere in possesso della cittadinanza italiana da almeno 10 anni.
Qualora i novelli sposi dovessero rientrare in tutti i requisiti previsti potrebbero beneficiare dell’indennizzo e coprire le spese, incluse quelle per “i fuori e i libretti” in chiesa e per la festa (ristorazione, bomboniere, servizio fotografico, acconciature). Per il bonus, si prevedeva di istituire un fondo di 716 milioni di euro per cinque anni.
L’ira dell’opposizione sul bonus per i matrimoni religiosi
Oltre a Furgiuele, tra gli altri firmatari del ddl figurano i deputati Simone Billi, Igrid Bisa, Alberto Gusmeroli ed Erik Pretto. La misura è stata concepita per contrastare il dato Istat che ha rilevato un calo maggiore dei matrimoni religiosi rispetto a quelli civili. A questo proposito, la proposta suggerisce che uno dei motivi che si celano nel trend emerso sia il fatto che “il matrimonio civile è di per sé una celebrazione meno onerosa rispetto al matrimonio religioso” e per questo la Lega vuole “agevolare le giovani coppie che intendono celebrare il matrimonio religioso”.
L’iniziativa ha fatto insorgere l’opposizione che ha rivolto al Carroccio aspre critiche. Il leader di Azione, Carlo Calenda, ad esempio, ha scritto che “al di là della probabile incostituzionalità, si conferma che la Lega di Salvini è letteralmente fuori controllo”.
Sempre da Azione, Mara Carfagna ha affermato: “Altro che ‘libera Chiesa in libero Stato’, qui siamo ancora al Papa Re”.
L’europarlamentare del Partito Democratico Alessandra Moretti, invece, ha scritto che il ddl “denota una cialtroneria rara e l’assoluta distanza dai problemi reali del Paese”.
Ancora, il senatore dem Enrico Borghi ha descritto la proposta di legge come “roba da mercanti del tempio” mentre il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, ha tuonato che “la detrazione delle spese sostenute per i matrimoni solo in chiesa si inserisce nel filone dei bonus per qualsiasi cosa ma, a qualificarla nel solco reazionario della destra sovranista, è il fatto che il beneficio andrebbe riservato a italiane e italiani da almeno dieci anni e che scelgono il matrimonio religioso, ovviamente rigorosamente etero: una perla di analfabetismo costituzionale”.
Anche la Chiesa mette al bando la proposta del Carroccio
La misura non è stata messa al bando solo dall’opposizione ma ha suscitato anche l’indignazione della Chiesa. Contattato dal Corriere della Sera, infatti, l’arcivescovo Vincenzo Paglia ha osservato che “davanti alla crisi dei matrimoni religiosi e civili, è opportuno pensare ad un sistema per sostenere le unioni stabili. Se lo Stato vuole aiutare le famiglie ben venga, ma tutte le famiglie”.
A prendere le distanze dal ddl è stato anche il Governo Meloni che ha sottolineato che si tratta di “un’iniziativa parlamentare” che “non è allo studio del governo che punta a sostenere la famiglia con misure concrete e realizzabili”.
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