Bentornato maledetto reddito di cittadinanza. Durante la kermesse di Forza Italia a Santa Flavia, il presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani, ha fatto un annuncio che ha il sapore amaro di un’ammissione tardiva: l’istituzione di un reddito di povertà per le famiglie con un Isee inferiore a 5.000 euro. Una proposta che, nel contesto della politica siciliana e nazionale, suona quasi paradossale data la lunga battaglia della coalizione di centrodestra di cui fa parte il suo partito contro il reddito di cittadinanza, considerato una forma di assistenzialismo da stigmatizzare.
“Non è reddito di cittadinanza, ma reddito di povertà”, ha voluto chiarire Schifani, cercando di prendere le distanze da una misura che per anni è stata al centro delle polemiche e degli attacchi da parte della destra. Eppure le parole del governatore sembrano rivelare un’inquietante realtà: la povertà è palpabile e non può più essere ignorata, nonostante i continui proclami della presidente del Consiglio Giorgia Meloni che dipinge un Paese in crescita sfrenata. L’intervento del governo siciliano, con un fondo di 30 milioni di euro stanziato per aiutare le famiglie più in difficoltà, segna un cambio di rotta rispetto alla narrazione di governo che ha spesso dipinto un’Italia prospera e immune dalle emergenze sociali.
L’ammissione di Schifani: un cambio di rotta necessario
Siamo di fronte a un’evidenza che non può più essere taciuta: “Abbiamo voluto fortemente questa misura. È una risposta a quella povertà che caratterizza una fascia della nostra popolazione”, ha affermato Schifani. Con questo ammiccare a una realtà scomoda, il presidente sembra rendersi conto che la miseria è un problema tangibile, non un retaggio del passato da relegare tra le pagine della propaganda politica. Resta da capire se quella di Schifani sia davvero una scelta coraggiosa o piuttosto un tentativo di salvare la faccia in un momento critico.
In Sicilia i dati parlano chiaro: l’incidenza della povertà assoluta ha raggiunto livelli preoccupanti. Con oltre il 9,7% della popolazione in difficoltà, la decisione di Schifani non è solo un passo politico ma una presa di coscienza che arriva tardi. Dopo anni in cui il suo partito ha contribuito alla demolizione delle reti di sicurezza sociale ora si propone di rimediare con una misura che, per quanto ben intenzionata, rischia di risultare insufficiente.
Il fatto che il reddito di povertà venga presentato come “un primo passo” non può che suscitare scetticismo. Quali sono le vere intenzioni dietro a questa proposta? È solo una mossa elettorale per guadagnare consensi o c’è un reale impegno a lungo termine per affrontare la crisi sociale che attanaglia l’isola?
Le parole di Schifani appaiono un tentativo di reinterpretare il passato: “Non siamo qui per sostituire lo Stato”, ha affermato, come se potesse cancellare la storia recente del suo partito. Ma la verità è che, mentre il governo nazionale smantella i sussidi, la Sicilia si trova a dover rispondere a una realtà complessa, in cui la lotta contro la povertà richiede soluzioni più incisive e durature.
Sicilia in crisi: povertà e politiche inefficaci
In questo contesto, il reddito di povertà, per quanto necessario, deve essere solo un tassello di un piano più ampio che riconosca la dignità di chi vive nell’indigenza. A luglio di quest’anno la deputata di Forza Italia Luisa Lantieri aveva presentato un disegno di legge all’Ars per istituire in Sicilia il “reddito regionale di cittadinanza” spiegando “che, in una delle fasi più difficili della storia recente, ha garantito la dignità delle fasce sociali maggiormente vulnerabili del Paese”.
A luglio la deputata regionale – ispettore del lavoro di professione e attuale vicepresidente dell’Assemblea regionale siciliana – sembrava una voce singola fuori dal coro, unica firmataria del testo. Ora ci ha ripensato anche Schifani.