Sconfitto alle urne, scaricato da Forza Italia e processato da Fratelli d’Italia. No, per Matteo Salvini decisamente non è un bel risveglio, quello del giorno dopo il week end elettorale. Che ha visto la sua Susanna Ceccardi capitolare in Toscana fallendo di fatto il terzo tentativo di spallata al governo in poco più di un anno. Dopo la farsa del Papeete e il flop in Emilia Romagna, il Capitano certifica non solo di aver perso il “tocco magico” ma si tira dietro anche ruggini e rivendicazioni da parte degli alleati che, se prima covavano sotto la cenere, adesso stanno venendo decisamente in superficie. Del resto si sa, “nella buona e nella cattiva sorte” è una formula che non funziona neanche nei matrimoni, figurarsi in politica. Andiamo per ordine.
Il Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, ieri mattina ha aperto la prima pagina con un titolo che non lascia spazio ad equivoci: “Spallata fallita”, con tanto di sommario “Salvini non sfonda, il Pd regge in Toscana e Puglia: finisce 3-3”. Messaggio chiarissimo. Reso ancora più lapalissiano dal direttore Alessandro Sallusti, che nel suo editoriale scrive: “Se dici che vincerai sei a zero e poi pareggi tre a tre è ovvio che il risultato sa di sconfitta…Dalle urne delle Regionali non è infatti arrivata la spallata alla sinistra che Salvini aveva annunciato…Le ambizioni di Salvini non trovano conferme nella realtà: la Lega non è pronta a sfondare nelle roccaforti rosse né a consolidare il suo consenso al Sud.”.
E ancora, in riferimento alla scelta di sostenere il Sì (che ha trionfato col 70%): “Col senno di poi, se Salvini e Meloni avessero avuto un po’ più di coraggio invece di consegnare la vittoria a Di Maio, l’esito sarebbe stato probabilmente opposto”. Con i se e con i ma non si fa la storia e del senno di poi son pieni i fossi, ma questo è un altro discorso. In ogni caso, anche Deborah Bergamini, deputata di stretta osservanza berlusconiana, nel suo editoriale di ieri sul Riformista incolpa e Meloni e Salvini di non essersi schierato convintamente per i No e di aver ceduto ad una deriva populista.
Ma il redde rationem non si ferma alle intemperanze dei berluscones: non va meglio dalle parti di FdI.
Se è pur vero che, nonostante la sconfitta di Fitto, l’affermazione di Acquaroli nelle Marche dopo 25 anni di dominio rosso consente a Giorgia Meloni di rivendicare come vinta la sfida tutta interna alla coalizione, il malumore in Puglia serpeggia eccome. Non è un mistero che fino all’ultimo momento Salvini abbia tentato di boicottare la candidatura dell’europarlamentare meloniano, e qui la performance della Lega è stata assai deludente, passando in un anno dal 25% europee a neppure il 10% di oggi. Al contrario FdI è diventato il primo partito della coalizione nella regione passando dal 2,45% di 5 anni fa al 12,63%. FI, che in media ha portato a casa non più del 4-5%, qui ha raggiunto un buon 8,91%.
La Puglia Domani, lista del presidente, ha registrato 8,42% (senza nessun brand pregresso, quindi non male). La sconfitta, per nulla attesa con questo scarto, pesa e si è capito qual è il capro espiatorio. Ma la bordata maggiore, se possibile, oggi arriva a Salvini proprio da casa sua, guarda caso da quel Luca Zaia trionfatore nel suo Veneto con percentuali bulgare (e con la sua lista personale che prende tre volte quella della Lega). E non lascia spazio a troppe interpretazioni: “Perché vinco? Io governo, non vado in giro a fare comizi”, così il Doge nel rispondere a chi gli ha chiesto il segreto del suo esorbitante, col piglio di chi non deve più, a questo punto, fare il democristiano per forza. Game over.