Altro che uomo dei miracoli. “Mario Draghi non ha più il whatever it takes”. Dopo gli endorsement del Financial Times e del New York Times (leggi l’articolo), per Supermario arriva pure la stroncatura dell’autorevole rivista Usa (qui l’articolo) specializzata in affari internazionali Foreign Policy. Che sia primo ministro o presidente della Repubblica, cambia poco.
L’ANALISI. Perché “potrebbe non avere la soluzione ai problemi dell’Italia”, si legge nel sommario dell’articolo dedicato a Mr. Bce, che definisce impalpabile il suo mandato a Palazzo Chigi. E l’analisi, vergata dal professor Adam Tooze della Columbia University, ne spiega anche le ragioni: nonostante “nel suo precedente ruolo” di presidente della Bce, Draghi “ha esercitato il potere della Banca Centrale per calmare i mercati obbligazionari” non è detto che “sia in grado di utilizzare le leve del potere politico a disposizione di Roma per affrontare il problema di fondo della crescita inadeguata dell’Italia”.
E la sfida per il Quirinale? Se negli ultimi anni la vera regia della politica italiana ha traslocato al Colle è solo per la balcanizzazione del sistema politico come sbocco del bipolarismo forzato attraversato dal Paese durante la parentesi del berlusconismo. “Governare in Italia è difficile non solo per la complessità politica – sostiene Foreign Policy – . Ciò che rende complesso sostenere la legittimità è il fatto che l’economia non fornisce mai i risultati di cui i politici hanno bisogno”.
Ma non è tutto. L’analisi vira poi sugli anni del Bengodi di Stato. Quelli delle Manovre spendi e spandi dell’era craxiana che hanno gettato le premesse dello sconquasso dei conti pubblici. Draghi viene considerato, prosegue l’analisi della rivista Usa, uno dei “tecnocrati e centristi italiani sopravvissuti alla politica degli anni Ottanta”, che “hanno domato l’aumento del debito pubblico”, ma pagando il prezzo di “un drammatico rallentamento della crescita”.
In termini reali, sottolinea Foreign Policy, “il Pil italiano nel 2019 è stato solo del 4% superiore al livello del 2000”. Mentre, in termini pro capite, gli italiani non hanno praticamente beneficiato di alcun miglioramento per ben due decenni durante i quali “il Pil pro capite in Francia e Germania è salito rispettivamente del 16% e del 25%”. Quanto al ruolo che può giocare la Presidenza della Repubblica nel nostro Paese, Tooze fa notare che “gli interventi presidenziali possono servire come mezzo di gestione delle crisi”, sebbene valga la pena di chiedersi se “alla lunga indeboliscono e destabilizzano la politica dei partiti”.
Dilemma: “Mantenere l’Italia al passo con l’euro, attraverso la nomina presidenziale di banchieri ed economisti a governare il Paese, non ha forse contribuito alla progressiva disgregazione dei partiti politici italiani?”. Il 2021, tira le somme Foreign Policy, è stato monopolizzato dall’effetto Draghi. Ma “il fatto che fosse così necessaria una magia personale (sic) è indicativo dell’esito incerto del progetto che Draghi e le sue coorti perseguono dagli anni Novanta.
Hanno scommesso sulla modernizzazione dell’Italia imbrigliandola in Europa. L’Italia è ora effettivamente imbrigliata all’Europa, probabilmente in modo irreversibile. Ma il livello di crescita è stato disastroso: dagli anni Novanta, il progetto di ammodernamento è stato un’enorme delusione”.