L’ultimo nome in ordine di tempo è quello del premier in carica Paolo Gentiloni. Offerto ieri per conto di Matteo Renzi dal capogruppo del Pd alla Camera, Ettore Rosato, sull’altare (sacrificale?) della “santa” alleanza del centrosinistra. Non sarebbe la prima volta, però, come spesso capita nelle chiuse stanze del conclave, che chi entra Papa esce cardinale. Il toto-nomi per una possibile candidatura a Palazzo Chigi che possa mettere d’accordo tutto il centro-sinistra, non ha risparmiato a giorni alterni neppure l’attuale ministro degli Interni, Marco Minniti. Ma da ieri l’unico reale candidato – sia pure in pectore – è il presidente del Senato, Piero Grasso. Sì proprio lui, da domenica l’uomo più odiato dai renziani. Ma, dopo la direzione di Mdp, anche il nome più scontato per guidare, alle prossime politiche, il nuovo soggetto politico alla sinistra del Pd. L’unico, per altro, che non è nella disponibilità di Matteo Renzi.
Lotteria di Governo – Già, perché è proprio il segretario del Partito democratico, dopo aver invano cercato di comporre un’alleanza di centrosinistra, a dover sciogliere i nodi. La candidatura di Grasso, salvo incidenti di percorso, risolve se non altro la necessità di dover guardare fuori dal giardino del Pd per sbrogliare la matassa. E a questo punto, se l’offerta di Gentiloni doveva servire per riportare all’ovile le pecorelle smarrite di Mdp, metafora per metafora, sembra che i buoi siano ormai scappati dalla stalla. Quanto a Minniti, se la logica che nelle scorse settimane aveva solleticato le indiscrezioni sul suo nome è la stessa che ha alimentato l’ipotesi Gentiloni, il titolare del Viminale ha già risposto picche. “Già fare il ministro per me è una cosa molto impegnativa”, aveva garbatamente declinato rifiutando, sul parterre della Festa del Foglio, il cerino che rischiava di rimanergli in mano. D’altra parte, ancora ieri, i renziani continuavano a ribadire il concetto. “Noi abbiamo una leadership che è stata messa in campo non da me, non dal ceto politico o dai notabili, ma dalle elezioni primarie e questa leadership è di Matteo Renzi”, andava ripetendo il solito Davide Faraone, già protagonista dei pesanti attacchi a Piero Grasso per la disfatta siciliana. “Dopo di che Renzi in maniera generosa ha detto dal primo giorno – ha aggiunto – che non metterà mai se stesso davanti alla costruzione di una coalizione ampia ma noi ci proponiamo dentro questa coalizione ampia, con una leadership autorevole che c’è ed è quella di Matteo Renzi”.
Renzi forever – Di certo, dopo lo strappo di Mdp, il nodo delle candidature condivise per allargare la coalizione si è sciolto da sé. E il cerino, alla fine della fiera, è tornato nelle mani di Renzi. Che, di fatto, è al momento l’unico vero candidato premier del Pd. Al netto dei maldipancia degli orlandiani e dei franceschiniani che, però, almeno in questa fase rappresentano per Renzi un problema relativo tutt’altro che ingestibile. Se non altro per la delicata partita, tutta interna al Pd, che si sta per giocare. Quella delle liste e delle candidature alle prossime politiche. Sarà proprio il segretario a dare le carte. Lo sa Renzi e lo sanno anche i suoi oppositori. La priorità è questa. Tutto il resto, premiership compresa, può attendere.