L’ultimo della serie è il suo mito, il “migliore”. Quel Mario Draghi che Matteo Renzi ha voluto a tutti i costi a Palazzo Chigi per salvare l’Italia, secondo la sua versione. Ora il fondatore di Italia viva compie il voltafaccia, il più clamoroso della sua carriera pure ricca. Non siamo ai livelli dello “stai sereno” rivolto a Enrico Letta, ma è un primo passo in quella direzione.
Il tema è la riforma del Csm voluta dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia. I partiti hanno trovato un faticoso accordo. Il leader di Italia viva ha pronunciato il suo no: “L’azione di Bonafede era dannosa, quella di Cartabia inutile”, ha sentenziato. Certo, non è ancora un’uscita dalla maggioranza, ma è un fatto significativo, visto che anche su altri provvedimenti – come quello sull’ergastolo ostativo alla Camera – i renziani hanno fatto dei distinguo.
Oltre a Letta, ci sono anche Silvio Berlusconi e Giuseppe Conte ad aver subito l’infedeltà politica di Renzi. L’elenco è davvero lungo. Il capostipite è Lapo Pistelli, oggi manager Eni, che aveva scelto il futuro Rottamatore come suo collaboratore. Solo che nel 2009, alle primarie per le Provinciali a Firenze, Renzi non sostenne la candidatura di Pistelli e anzi lo sfidò, battendolo. Avviando così la sua carriera politica: con le spalle girate a chi lo aveva introdotto nei Palazzi.
Un anno dopo, l’arrembante Matteo confermò tutte le sue doti nei voltafaccia alla prima edizione della Leopolda. I protagonisti erano due giovani dalle belle speranze, Renzi appunto, e Pippo Civati, all’epoca consigliere regionale in Lombardia. All’appuntamento fiorentino il patto era di marciare uniti nel segno del rinnovamento, anzi della rottamazione
Ma Renzi si prese la scena, avviando l’operazione di estromissione di Civati dal suo inner circle. Ne sa qualcosa anche Matteo Richetti, diventato per qualche mese il braccio destro del rampante leader. Un approccio subito rivisto quando Richetti ha osato muovere qualche critica. Ma il capolavoro inarrivabile è lo “stai sereno” proferito quando Letta era presidente del Consiglio.
Renzi con quell’espressione, che divenne un hashtag, voleva tranquillizzarlo sulla lealtà e sull’intenzione di voler semplicemente essere d’aiuto nell’azione di governo. Dopo poche settimane l’esecutivo cadde per un’operazione di sostituzione a Palazzo Chigi: fuori Enrico, dentro Matteo. Una pugnalata che resta nella storia, così come la foto di Letta che passa la campanella al suo erede senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Renzi non ha risparmiato nessuno, nemmeno a destra. Per informazioni basta citofonare a Silvio Berlusconi, che con l’allora leader del Partito democratico aveva siglato “il patto del Nazareno”, un piano di riforme condivise, dalla Costituzione alla legge elettorale. L’intesa però finì a pezzi quando Renzi non rispettò l’accordo trovato, sul nome di Giuliano Amato, per il presidente della Repubblica, mettendo in campo la candidatura – risultata vincente – di Sergio Mattarella.
Nemmeno l’appannamento della stella renziana, dopo la sconfitta al referendum, ha il modus operandi del numero di Iv. Giuseppe Conte è stato l’ultimo bersaglio di un voltafaccia politico: Renzi, nell’agosto del 2019, diede il via libera per formare un governo con Pd e 5 Stelle presieduto dall’avvocato di Volturara Appula, gabbando pure Nicola Zingaretti. Come sia andata a finire, è storia nota.
Un giorno sì e l’altro pure, l’ex Rottamatore ha cannoneggiato sulla coalizione, prima con il pretesto della Giustizia poi con quello sulla gestione del Recovery Plan. Qualsiai cosa pur di far saltare il banco. Insomma, Draghi è avvisato.