Scontro su “impresentabili” e “questione morale” fra M5s e Pd. Criticato per la scelta dei candidati usciti dalle parlamentarie, il candidato premier Luigi Di Maio attacca e pubblica sul blog delle stelle la lista degli “impresentabili” dei dem e del Centrodestra, da Luca Lotti a Umberto Bossi e Roberto Formigoni. Un “ritornello” e per di più “dalle gambe corte”, la replica di Matteo Renzi, che difende la linea garantista: non basta un avviso di garanzia o essere indagati per scrivere una condanna.
Quindi, nessuna epurazione delle liste come invece chiesto a gran voce dai pentastellati che invece, insiste l’ex premier, candidano “uno scroccone amico degli Spada”. Un botta e risposta duro che si chiude a fine giornata con il candidato premier M5s che accusa Renzi di “aver preso soldi da Mafia capitale” e l’annuncio di querele da parte del tesoriere Pd, Francesco Bonifazi. E il leader del Nazareno che rinfaccia che, senza garantismo, alla gogna finirebbero lo stesso Di Maio, la sindaca di Torino Chiara Appendino, la prima cittadina di Roma Virginia Raggi e molti altri. “Noi – ha rivendicato Renzi – non li giudichiamo colpevoli. Anzi: ci auguriamo che siano innocenti”. Al contrario del Movimento, che per Renzi si mostra garantista a giorni alterni, a seconda che si tratti di amici o avversari. E che poi però, dicono i dem compatti, candida Emanuele Dessì (finito nel mirino per il canone d’affitto), a cui hanno fatto firmare un atto per la rinuncia alla candidatura che “non conta nulla”: si tratta di una “patacca” e alla fine quello che Renzi definisce uno “scroccone”, amico per di più del “clan Spada”, finirà per ottenere un seggio in Senato.
Dessì, è la rivendicazione dei Cinque Stelle, ha una casellario giudiziario immacolato e dunque il suo passo indietro è stato dettato esclusivamente da ragioni di opportunità politica. D’altro canto, il clamore attorno al candidato pentastellato sarebbe stato eccessivo per M5s e figlio dell’atteggiamento non equilibrato di cui si macchia anche la stampa con i quotidiani che osservano addirittura un silenzio “omertoso” nei confronti degli altri partiti: un caso su tutti, punta il dito Di Maio, quello dell’esponente del Centrodestra e capolista Luigi Cesaro, “detto Giggino ‘a purpetta, indagato per voto di scambio”. Nell’elenco firmato da Di Maio e che secondo gli avversari assomiglia a una lista di “proscrizione” finiscono infatti politici di entrambi gli schieramenti.
In cima alla lista per il Centrosinistra si piazza Luciano D’Alfonso, “governatore della Regione Abruzzo e indagato per una inchiesta su appalti regionali”, seguito da Lotti, indagato nel caso Consip e poi da De Luca Junior e “Franco Alfieri: il ‘signore delle fritture’ elogiato dal governatore campano perché sa fare le clientele come Cristo comanda”. Per il centrodestra, oltre a Cesaro, c’è “Antonio Angelucci, con una condanna in primo grado per falso e tentata truffa” e poi Ugo Cappellacci, Michele Iorio e l’ex governatore Formigoni, unico a replicare: “Caro Di Maio – ha detto – prima rendi Roma efficiente come era la Lombardia con me, poi potrai parlare”.