Di Goffredo De Marchis per La Repubblica
“Vorrei rimescolare il puzzle”. Matteo Renzi non usa le parole della vecchia politica, ma la sostanza non cambia. A Palazzo Chigi, dopo il successo della nomina di Federica Mogherini in Europa, si pensa un rimpasto e non a una semplice sostituzione del ministro degli Esteri. Cioè a un movimento di pedine più corposo in previsione di un mandato lungo “mille giorni”, il programma che proprio oggi il premier presenterà alla stampa. Si capirà da lì che Renzi ha cambiato la velocità di marcia della sua azione di governo. Non più Speedy Gonzales con il rischio di qualche pericoloso scivolone, ma un ritmo più lento, che dia anche agli interlocutori europei il respiro di un cammino davvero realizzabile, di un’agenda concreta di riforme.
Nell’illustrazione infatti si partirà dalle cose già fatte. Per spiegare come saranno davvero attuate la riforma del lavoro (la prima parte presentata da Poletti), le leggi sulla giustizia, il provvedimento sulla pubblica amministrazione. A questo, si aggiungeranno i progetti del futuro. E un nuovo sito, da affiancare a quello ufficiale del governo, consentirà una partecipazione dei cittadini e una verifica delle promesse mantenute o non mantenute. In questo programma non c’è il rimpasto, naturalmente. Renzi ripete a tutti i suoi interlocutori che c’è tempo per decidere chi prenderà il posto della Mogherini. Ma questo tempo serve anche ad aprire un tavolo con gli altri partiti della maggioranza per cercare di far girare la ruota anche in altri dicasteri.
Si parte dalla Farnesina e si parte da Angelino Alfano. Il premier vuole convincerlo a lasciare la poltrona del Viminale. Aveva già provato a farlo al momento della formazione dell’esecutivo, a febbraio. Non riuscì nell’impresa evitando sola la conferma della carica di vicepremier. Adesso tornerà alla carica garantendo al leader di Ncd il ministero degli Esteri, cioè un posto di pari peso. “Proveremo a fare breccia”, ha detto Renzi ai suoi collaboratori.
È un dossier, quello del rimpasto, non ancora sul tavolo. Alfano per esempio non ha ancora ricevuto nessun segnale diretto da Renzi. Ma a Palazzo Chigi qualcuno ha già iniziato delle riflessioni. È vero che il Quirinale preferirebbe una semplice sostituzione. È la strada maestra, non si aprirebbe nemmeno la discussione sull’eventuale nuovo voto di fiducia a un governo rimpastato. Lo spostamento di Alfano alla Farnesina e la sua sostituzione agli Interni con Graziano Delrio sarebbe un normale avvicendamento interno alla stessa squadra di governo. Più delicata l’ipotesi di toccare altre caselle. Come l’Istruzione, dove Stefania Giannini appare in bilico. Dove Renzi vorrebbe mettere una donna del Partito democratico perché ai suoi colleghi di partito ha detto chiaramente: “La scuola deve diventare un tema costitutivo del Pd”. Secondo lui Largo del Nazareno dovrebbe concentrare tutti i suoi sforzi sull’istruzione, farne il suo elemento identitario.
Agli Esteri il favorito rimane Lapo Pistelli. Ma se Alfano fa un’apertura, quel posto è suo. Il titolare del Viminale oggi potrebbe aver cambiato idea. Dopo aver portato a casa l’operazione Frontex Plus per la questione degli sbarchi, aver coinvolto maggiormente l’Europa dopo mille appelli e allarmi, il ministro dell’Interno potrebbe essere tentato di lasciare una poltrona che scotta e che sarà chiamata ad affrontare ancora l’emergenza immigrazione. In alternativa ci sono altre donne. Per Roberta Pinotti sarebbe solo un cambio dentro la stessa squadra e per la Difesa si fa ancora il nome di Alfano. Diverso il discorso per Marina Sereni, vicepresidente della Camera, e per Elisabetta Belloni, oggi direttore del personale della Farnesina. È solo un’illusione invece il coinvolgimento di Andrea Guerra. L’ex ad di Luxottica era stato chiamato a febbraio e disse no per rimanere in azienda. Oggi è libero, ma non sarà nel governo.
Al di là delle formule politiche, e Renzi preferisce sicuramente l’inglese “reshuffle”, sarà un vero e proprio rimpasto se si apriranno caselle slegate all’inevitabile sostituzione di Mogherini. Come quella dell’Istruzione. L’idea di un cambio della Giannini è apparsa evidentemente a tutti i partecipanti a una recente riunione con Renzi incentrata sulla scuola. C’erano i vertici del Partito democratico, i capigruppo e i parlamentari esperti. Il premier ha detto a tutti che per il Pd la battaglia della formazione era fondamentale, che doveva diventare una bandiera del partito. Chi è uscito da lì ha pensato: “Perché sia davvero una bandiera ci vuole un ministro del Pd”. Naturalmente, la Giannini sconta anche il fatto di appartenere a un partito praticamente scomparso alle elezioni, Scelta civica, e che in alcune sue componenti appare ormai una corrente del Nazareno. È un discorso che vale per le percentuali ridotte del Nuovo centrodestra. Ma su questo Alfano pensa di avere le spalle coperte. Per ridurre la delegazione dell’Ncd (3 ministri) sarebbe inevitabile un passaggio parlamentare. Con tutti i rischi del caso per Renzi.