Quel giorno è arrivato. Sapevamo tutti che la colla che univa i due esponenti più egotici del panorama politico italiano era il giro da guadagnarsi in Parlamento (ognuno con la sua truppa) e sapevamo che sarebbe finita così. Anche per questo l’addio che si consuma tra Matteo Renzi e Carlo Calenda, gli altri dietro come tetra scenografia, instilla una malinconia stanca.
Dal matrimonio al funerale. La farsa del Sesto Polo di Calenda e Renzi è finita. Il flop certifica che il centro esiste solo sui giornali
Tutto così sfacciatamente prevedibile, come quelle brutte canzoni neomelodiche di cui immagini il ritornello già il primo ascolto, sempre uguali a sé stesse. Mentre i parlamentari hanno già infilato i bagagli nelle cappelliere, sull’orlo del tramonto, in lontananza s’ode splenica la senatrice renziana Raffaella Paita che auspica “che si possa continuare a lavorare insieme nelle istituzioni, anche perché abbiamo lavorato molto bene”. È uno di quegli auguri con il fazzoletto bianco alla stazione.
Il “partito unico è definitivamente morto”, sentenzia Carlo Calenda intercettato da Striscia La Notizia. Che il certificato di morte sia officiato da un tiggì satirico aggiunge imbarazzo di fronte a una fine degna della Commedia dell’Arte, dove le maschere di Carlo e Matteo non rinunciano alla propria parte continuando a ballare anche sopra alle macerie che si sono lasciati alle spalle. “Non ho parlato con Renzi in Aula, – spiega Calenda ai giornalisti – non c’è stato modo poiché c’erano voti serrati. In ogni caso il progetto del partito unico è definitivamente morto. Andremo avanti con due partiti e, se ricomporremo il clima, ci alleeremo dove sarà possibile”.
Poi l’ex ministro del governo dell’ex premier di Rignano aggiunge: “Il partito non lo riusciremo a fare, perché Renzi non lo vuole fare. Perché vuole tenersi soldi e partito di Italia viva e non si può far nascere, da due partiti, tre partiti: diventa ridicolo. Lui non viene alle riunioni. Non ci ho parlato, perché lui parla solo con Obama e Clinton”.
Dopo aver preso a sberle il suo ex compagno di viaggio Calenda si avvia sotto la pioggia scrosciante coperto male da un ombrello condiviso. Poco dopo una nota ufficiale di Azione cesella i motivi dell’addio: “Lo stop deriva dalla scelta di Italia Viva di non votare un documento ieri che avevano dichiarato essere già letto e condiviso. Dietro tutto questo c’è solo un fatto: Renzi tornato alla guida di Italia viva da pochi mesi non ha alcuna intenzione di liquidarla in un nuovo partito. Scelta legittima ma contrastante con le promesse fatte agli elettori. Dopo mesi di tira e molla ne abbiamo semplicemente preso atto. In un clima volutamente avvelenato da insulti personali da parte di Renzi e di quasi tutti gli esponenti di Italia viva a Carlo Calenda”.
Italia Viva risponde con un comunicato: “interrompere il percorso verso il partito unico – scrivono i renziani – è una scelta unilaterale di Carlo Calenda. Pensiamo che sia un clamoroso autogol ma rispettiamo le decisioni di Azione. Gli argomenti utilizzati appaiono alibi. Italia viva è pronta a sciogliersi, come Azione, il 30 ottobre, dopo un congresso libero e democratico. Sulle risorse, Italia viva ha trasferito fino a oggi quasi un milione e mezzo di euro al team pubblicitario di Carlo Calenda ed è pronta a concorrere per la metà delle spese necessarie alla fase congressuale e a trasferire le risorse dal momento della nascita del partito unico. La costruzione di una proposta alternativa a populisti e sovranisti è da oggi più difficile ma più urgente. Nei prossimi mesi noi rispetteremo gli amici di Azione cercando ogni forma di collaborazione senza rispondere alle polemiche di alcuni dei loro dirigenti”.
Matteo Renzi non si fa vedere. Forse ieri era la sua giornata da conferenziere, o da giornalista – dopo la recente nomina a direttore editoriale del quotidiano Il Riformista – o da maratoneta, nonostante lo stipendio da politico. Il terzo polo che non è mai stato terzo e non è mai stato un polo è un partito mai partito che si consuma come gli scontri tra galli, con il pollaio impiastricciato di feci e le piume rimaste a terra.
Rimangono i polli a rivendicare la vittoria dell’uno e dell’altro, nei comunicati che si susseguono per tutta la giornata a incolpare ora Renzi ora Calenda dall’una e dall’altra parte. Ma è un canto stanco, anche quello condizionato dalla settimana corta che richiama verso casa. Quel che conta era guadagnarsi un altro giro di giostra. Cinque anni di legislatura sono lunghi e pingui. C’è tutto il tempo per inventarsi un’altra incredibile traiettoria di questo “centro” che eccita solo i protagonisti e gli editorialisti di giornali con più finanziamenti pubblici che lettori.
La parabola del Terzo polo è in fondo la fotografia di un’élite autoproclamatasi che non piace a nessuno, che non sa far niente, che moraleggia su tutto e che alla prova dei fatti si dimostra completamente sconnessa dalla realtà. Renzi ora potrà aspettare di avventarsi sui resti di Forza Italia, con il suo avvoltoismo che i suoi amici chiamano strategia. Calenda potrà ancora una volta dare la colpa agli altri.
L’epitaffio di Calenda lo scrive Emma Bonino su twitter: “Dovrei dire che sono sorpresa? Proprio no. Lui è fatto così”, scrive. Tra i molti “mi piace” è scappato il dito anche all’ex segretario del Partito democratico Enrico Letta. Che una volta tanto non è lui il destinatario di quello staisereno che gli si è appiccicato addosso per anni da quando la sua strada si è incrociata con quella di Renzi. Un’era geologica fa. Ma, si sa, la storia è fatta di corsi e ricorsi. E la ruota prima o poi gira. Per tutti.