“Renzi sta portando avanti un attacco frontale contro il Governo di cui fa parte. Una mossa che può portare risultati nell’immediato, in termini di visibilità mediatica, ma che dubito, alla lunga, possa tradursi in consenso elettorale”. Non ha dubbi Roberto Baldassari, direttore generale di MG Research.
Sulla prescrizione Renzi ha lanciato un vero e proprio ultimatum: o i 5S rinunciano alla riforma Bonafede o al Senato, dov’è determinante, Iv voterà contro insieme a Forza Italia. Dove porta questa linea?
“Il rischio è che porti su un binario morto. Sulla linea di quelli che frenano, che dicono no ad alcune riforme chiave mettendo in pericolo la tenuta del Governo. Una linea che non paga, come dimostrano i precedenti: prima Bertinotti e poi Mastella fecero cadere Prodi due volte e ad entrambi non ha certo portato bene. La strategia di Renzi potrebbe avere senso se le condizioni fossero diverse”.
Sarebbe a dire?
“Se sei il leader di una forza di Governo che vale almeno 10% è un conto. Ad esempio, se il gioco di Renzi lo facesse la Meloni avrebbe un senso perché FdI può contare sul sostegno di un elettorato ormai assestato. Ma se lo fa Renzi, che naviga tra il 4 e il 5%, è un’altra cosa. Il leader di Italia Viva sta lanciando un messaggio netto, un ricatto neppure tanto velato, che mette a repentaglio la durata della legislatura. Un comportamento da partito d’opposizione non di maggioranza”.
Peraltro su un tema, la prescrizione, che lo porta sulle stesse posizioni di Forza Italia…
“Renzi ora è condannato a fare così per non spegnersi mediaticamente. Ha avuto un’opportunità con la caduta del Governo gialloverde e ha saputo sfruttarla con tempismo perfetto, creando Italia Viva e guadagnando più di tutti dalla crisi del Conte-1. Ma piazzare bombe sotto le poltrone del Governo di cui egli stesso fa parte non produrrà gli effetti sperati. L’eccesso di personalizzazione può rivelarsi un autogol”.
Come per Salvini in Emilia?
“Esatto è vero che Salvini è sempre in campagna elettorale, ha costante bisogno di argomenti e, quando non ce li ha li deve trovare in ogni modo. Ma personalizzare una competizione regionale, oscurando di fatto la candidata Borgonzoni, come si è visto non lo ha premiato. è stato un azzardo per un leader che occupa già una posizione dominante nello scenario politico”.
E i 5S? Dopo le dimissioni di Di Maio e il flop alle ultime Regionali, che prospettive hanno?
“Innanzitutto va ricordato che esiste un M5S a livello locale e uno a livello nazionale. Le correnti, per usare un termine che a loro non piace, esistono solo a Roma. Sul territorio ha ancora una sua ragione d’essere se mantiene i caratteri fondanti, sebbene, paradossalmente, l’anima M5S non sia mai stata locale e i migliori risultati li ha ottenuti sempre e solo a livello nazionale”.
Con Di Maio capo politico…
“A livello nazionale c’era un unica immagine-traino: il tandem Di Maio-Di Battista, due facce della stessa medaglia. Ma la linea la davano Grillo e Casaleggio padre. Con Casaleggio figlio, invece, Di Maio è diventato l’agnello sacrificale. Ma questo sacrificio cosa ha prodotto?”.
Cosa?
“Niente. Oltre ad un interrogativo a cui i 5 Stelle devono rispondere: il Movimento è un’unica grande marea composta da piccole onde che vanno tutte nelle stessa direzione, come diceva Robert Kennedy, oppure sono tante piccole maree che si scontrano l’una contro l’altra? In questo momento la seconda ipotesi sembra prevalere: scontrandosi diventa calma piatta e tutti i partecipanti perdono. Se gli Stati Generali diventano confronto tra queste microcorrenti che non rappresentano la base ma solo le proprie opinioni, il Movimento è finito”.
Come potrebbero evitarlo?
“Ripartendo dal basso. Dove sono nati. E ricordando che i leader M5S non sono politici che vivono a prescindere dal Movimento, ma sono “portavoce” che si consultano continuamente e decidono in relazione tra loro e con i territori. Come dimostrano i sondaggi: quando testiamo i Cinque Stelle in un’elezione locale, il risultato cambia in base ai territori e anche in parte all’appealing del candidato”.