di Vittorio Pezzuto
L’ostracismo dei deputati del Pd alla nomina del magistrato ed ex Guardasigilli Nitto Palma a presidente della Commissione Giustizia della Camera ha certificato non solo l’inaffidabilità di un partito ormai squagliato e indeciso a tutto ma soprattutto l’impossibilità nel nostro Paese di riconoscere l’integrità morale o quanto meno la buona fede dell’avversario politico.
Per Renato Altissimo le perduranti polemiche sulla giustizia e il suo utilizzo partigiano hanno robuste radici nel trapassato remoto: «Basterebbe recuperare il “Che fare?” di Lenin, nel quale si teorizza che i rappresentanti del proletariato devono impossessarsi dello strumento giudiziario. Un concetto che mi venne ribadito da Luciano Violante agli inizi degli anni Settanta, quando faceva il pubblico ministero a Torino. Aveva appena incriminato Edgardo Sogno. Mi spiegò che è il potere dominante a fare le leggi e che al popolo tocca subirle. Per un magistrato rivoluzionario di sinistra come lui era quindi un dovere abbattere il gruppo dominante borghese e per ottenere questo risultato la legge non andava applicata ma interpretata». L’ex leader liberale non ha difficoltà a riconoscere che da allora l’ex presidente della Camera è molto cambiato. «Il guaio però è che ancora oggi entrano in Parlamento tanti ‘violantini’ pieni di livore e mossi da quelle stesse pulsioni marxiste».
Colpisce però che, oggi come allora, i politici scoprano cosa sia davvero la giustizia soltanto quando ne vengono travolti. «Purtroppo sì. Pensi che nel 1984 mi è stata intentata una causa civile perché accusato di non aver svolto un’attività di sorveglianza sulle società fiduciarie in quanto ministro dell’Industria. Bene, lo sa quando è arrivata la sentenza definitiva di assoluzione? Nell’ottobre 2012! Da liberale sono straconvinto che la grande riforma delle istituzioni (e quindi della giustizia, del diritto) sia ancora più urgente del risanamento dei nostri conti economici. E che questa debba avere come modello la V Repubblica presidenzialista voluta da Charles de Gaulle».
Referendum tradito
Gli ricordiamo il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati promosso nel 1987 dai radicali di Enzo Tortora e ai quali socialisti e liberali diedero un significativo contributo. La volontà della stragrande maggioranza degli elettori venne però tradita in Parlamento con la Legge Vassalli, che di fatto ha impedito finora un rapido risarcimento alle vittime della giustizia.
A quei tempi Tangentopoli era inimmaginabile, e la classe politica s’illuse di poter venire a patti con l’ordine giudiziario. «E’ molto probabile. In quegli anni la magistratura era divisa in due tronconi: uno influenzato e guidato dalla sinistra ancora comunista; l’altro di ispirazione moderata, democristiana e di potere. Detta in termini più chiari: mentre il Pci si occupava di acquisire pubblici ministeri, ai democristiani interessavano piuttosto le presidenze dei tribunali. Alla fine erano tutti interessati a non turbare questo equilibrio, per timore di dover subire una vendetta o una pericolosa inimicizia da parte della magistratura associata».
Un Paese fuori di testa
Per Altissimo il massimo dell’autolesionismo della classe politica è stato comunque decidere di abolire l’immunità parlamentare. «Le confesso che dal 1994 non ho più messo piede alla Camera dei deputati perché ritengo che un Parlamento che non prevede l’immunità per i suoi membri disconosce uno dei presupposti classici e fondamentali delle libertà politiche. Ha ragione Salvo Andò quando, nel suo libro “La resa della Repubblica”, scrive che si decise questa controriforma affinché il Parlamento restasse nudo, indifeso di fronte all’attacco politico, mediatico e giudiziario, incapace di rallentare e dunque di rendere inefficiente il processo di delegittimazione di un’intera classe dirigente. E infatti da allora si piglia, si arresta, vengono divulgate sui giornali le intercettazioni telefoniche dei deputati e dello stesso premier… Il nostro è ormai un Paese fuori di testa».