Se c’è un fatto in materia di Giustizia di cui l’Italia è sempre stata giustamente orgogliosa, è quello di battersi contro pratiche disumane tra cui spicca quella della pena di morte. Una barbarie, sintomo di inciviltà e indegno per un Paese che vuole definirsi civile, che sembra essere tornata preoccupantemente in voga nel nostro Paese visto che per lo studio “Radar. Valori, comportamenti, gusti, consumi e scelte politiche” di Swg, un Osservatorio continuativo sull’opinione pubblica italiana che viene pubblicato sin dal 1997 e che si basa su oltre 60 mila interviste all’anno, certifica come “quasi un italiano su tre vorrebbe reintrodurre la pena di morte”.
Il 31% degli intervistati da Swg è favorevole alla pena di morte, il 57 contrario e il 12 per cento non sa rispondere
Per l’esattezza il 31 per cento dei campionati si è detto favorevole, il 57 per cento contrario e il 12 per cento non sa rispondere. La cosa peggiore è che alla domanda su quali tipi di reati dovrebbero essere puniti con questa terrificante pratica, le risposte sono state le più disparate e non si limitano soltanto ai reati più gravi. Così non sorprende che il 28 per cento degli intervistati la ritiene adatta all’omicidio, il 25 per centro agli atti di pedofilia, il 23 per cento per lo stupro, quanto a preoccupare è che per il 13 per cento dei campionati è causa sufficiente anche il tentato omicidio. Stessa percentuale anche per la violenza domestica, seguita dall’11 per cento dei campionati che la vede congrua per punire chi commette un omicidio stradale. Ma il dato che balza all’occhio è che per il 5 per cento degli intervistati, la pena di morte è adatta anche per chi si macchia del ‘semplice’ reato di furto.
Noury (Amnesty) non è sorpreso: “Mancano un dibattito pubblico e un’informazione adeguata”
Si tratta di un dato che non può essere sottovalutato e che impone diverse riflessioni. Come spiegato a La Notizia da Riccardo Noury (nella foto), portavoce di Amnesty International Italia e che ha tenuto a precisare come l’organizzazione è “da sempre contraria alla pena di morte”, questi dati “in realtà non mi sorprendono perché questa è una dinamica comune a tutti i Paesi abolizionisti dove esiste una minoranza che si dice favorevole”. “Ovviamente i sondaggi hanno una loro scientificità ma l’atteggiamento degli intervistati varia a seconda del momento in cui il questionario viene somministrato. Sono sicuro che se questo sondaggio fosse stato realizzato il giorno dopo quell’esecuzione negli Stati Uniti con il soffocamento di un detenuto (con l’azoto puro, ndr), l’esito sarebbe stato diverso”, prosegue Noury.
“Quello che rappresenta un problema” sottolinea il portavoce dell’organizzazione, “è il fatto che il dibattito sulla pena di morte in Italia non esiste più perché non c’è nessuna figura pubblica che si espone. Questo comporta che anche coloro che si oppongono a questa barbarie e che portano avanti campagne abolizioniste in altri Paesi, come fa Amnesty, non riescono ad aprire un dibattito”. Tutto ciò, precisa Noury, fa sì che “in assenza di un confronto televisivo tra due posizioni, il tema muore lì e ai cittadini non arriva una completa informazione sul tema”.
Lo stesso, entrando nel merito del sondaggio e in particolare dei reati che per gli intervistati costituiscono causa sufficiente all’esecuzione capitale, Noury fa notare come certifichi l’impreparazione dei cittadini perché “è vero che non esiste un divieto di pena di morte a livello globale ma, norme internazionali alla mano, questa è riservata soltanto ai casi più gravi quindi in questo sondaggio l’unico caso ammissibile sarebbe soltanto il primo”.
Sui 195 Paesi che compongono l’Onu ancora 55 nazioni adottano la pena capitale
Al momento, secondo le ultime stime di Amnesty International citate dalla Bbc, sui 195 Paesi che compongono l’Onu, ancora 55 nazioni adottano la pena di morte. Si tratta, numeri alla mano, di poco più di un quarto dei componenti delle Nazioni Unite. Fortunatamente su 55 Paesi, ben 23 non eseguono alcuna condanna capitale da un decennio mentre per 9 è prevista solo per punire i crimini di guerra e le stragi di massa. Purtroppo al momento è più che difficile quantificare con esattezza il numero delle esecuzioni perché diversi Paesi, tra cui spicca la Cina che condanna migliaia di detenuti ogni anno, non forniscono alcun dato ufficiale. Per questo si può parlare soltanto sulla base di stime con le almeno 883 condanne eseguite nel 2022, secondo quanto riportato da Repubblica, che corrispondono al “numero più alto dal 2017” seppur inferiore al dato registrato “nel 2015 qundo erano state circa 1500”.
C’è chi chiede di applicarla pure per il reato di furto
Un’altra stima impressionante è quella sul numero a livello globale di persone che sono in attesa dell’esecuzione della pena capitale a loro già inflitta che, sempre secondo Amnesty International, toccherebbe quota 28.282 persone. Cosa ancor più grave è che per molti di loro questa attesa, tra ricorsi, appelli, richieste di grazia e lungaggini giudiziarie, rischia di essere sterminata perché è facile che dovranno attendere anni e talvolta decenni, confinati in carcere in condizioni spesso disumane, prima di arrivare al giorno della loro esecuzione. Il paradosso è che mentre cresce il numero di persone sottoposte alla pena capitale, come anche quello di chi la attende in cella, a diminuire è il numero dei Paesi che prevedono questo rituale barbarico.
Sempre secondo Repubblica “nel 1991 soltanto 48 Paesi non prevedevano in alcun caso la pena di morte” mentre “oggi sono 112 a non contemplarla in nessuna circostanza. Tra gli ultimi che l’hanno abolita, nel 2022, figurano Kazakhstan, Papua Nuova Guinea, Sierra Leone e Repubblica Centroafricana”.