Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha ammesso che la procedura per deficit eccessivo da parte di Bruxelles nei nostri confronti sarà inevitabile. Mario Turco, senatore e vicepresidente del M5S, cosa ci aspetta?
“Il ministro Giorgetti ha provato a derubricare l’imminente procedura d’infrazione europea guardandosi bene dal combinarla con gli effetti del nuovo ‘Pacco di stabilità’, rifilato all’Italia da Germania e Francia. Il ministro ha dichiarato di sperare in un’applicazione inizialmente progressiva delle nuove regole europee, ben sapendo che il piano di rientro per l’Italia, che sia di 4 o 7 anni, si annuncia comunque lacrime e sangue, tutto a base di nuovi tagli alla spesa e nuove tasse. Del resto lo stesso Giorgetti, alla fine dell’anno scorso, aveva testualmente detto che il nuovo Patto di stabilità è ‘un caos totale’ e rischia di avere effetti prociclici. Ragion per cui è ancora più grave la supina accettazione dell’accordo da parte dell’esecutivo Meloni. Aggiungiamoci la scadente capacità di messa a terra del Pnrr e abbiamo un quadro macroeconomico che rischia di deteriorarsi in modo preoccupante, con lo spettro di una Manovra correttiva che continua ad aleggiare”.
Sempre Giorgetti dice che nel Def “ci saranno numeri interessanti”. La crescita dovrebbe essere fissata per quest’anno all’1 per cento. Che ne pensa?
“Giorgetti ci ha abituato a giocare con i numeri, a volte anche alterando la realtà, come nel caso del fantomatico buco di bilancio che non c’è. Nella Nadef dell’anno scorso aveva previsto una crescita del Pil 2024 dell’1,2%, adesso la rivede al ribasso all’1%, mentre i più accreditati osservatori internazionali non vanno oltre il +0,7%. Ci fosse anche una crescita dell’1%, saremmo lontani anni luce dalla crescita record dell’8,3% del 2021 e del 4% del 2022. Altro che numeri interessanti, il Paese con la Meloni è tornato a crescere dello zero virgola. Per questo ci aspettiamo che torni ad aumentare il debito pubblico in rapporto al Pil. Quello stesso debito/Pil diminuito di 17,6 punti nel triennio 2021-2023 grazie all’impatto delle politiche espansive e delle reti di protezione sociale adottate durante il Conte II”.
Che manovra ci aspetta in autunno considerando anche le regole capestro del nuovo Patto Ue?
“Solo per confermare, e ripeto ‘confermare’, il taglio del cuneo fiscale e l’Irpef a tre aliquote, quindi senza mezzo centesimo in più nelle tasche degli italiani, il Governo deve trovare 15 miliardi. Sebbene alcune rigidità del nuovo Patto possano già essere scontate nel bilancio pubblico, perché il Governo ha praticato austerità sin dalla prima Legge di bilancio, è chiaro che i margini per finanziare investimenti delle imprese ed alimentare consumi e domanda interna sono pressoché nulli”.
Con l’ultimo decreto sul Superbonus è stato eliminato ogni tipo di sconto in fattura e cessione del credito.
“Un danno enorme per cittadini e imprese la cui responsabilità è tutta del governo Meloni e del ministro Giorgetti, che gestisce l’agevolazione da oltre 3 anni, prima come ministro dello Sviluppo economico e ora come ministro dell’Economia. Le prime stime degli effetti del nuovo provvedimento parlano di 15mila condomìni in mezzo al guado, che vanno ad aggiungersi ai circa 30 miliardi di crediti d’imposta edilizi incagliati a causa delle schizofreniche norme del Governo Meloni. Un modus operandi allucinante, che contraddice radicalmente le promesse elettorali del Centrodestra a difesa del Superbonus. A questo si aggiunga il più che probabile errore contabile del ministro Giorgetti, che ha fatto pressioni sull’Istat affinché i crediti d’imposta fino al 2023 venissero classificati come ‘pagabili’, ovvero come se fossero tutti compensabili con le tasse da pagare, mentre i decreti del Governo Meloni, che hanno affossato la cessione dei crediti, dimostrano che sono crediti ‘non pagabili’. Il risultato, non previsto da Giorgetti, è stata l’esplosione del deficit del 2023, non per colpa del Superbonus ma dei giochetti contabili del ministro dell’Economia”.
Il vostro presidente Giuseppe Conte ha detto che il Superbonus è diventato il capro espiatorio alla incapacità del governo di mettere a terra misure di rilancio dell’economia del Paese.
“Beh, mi pare chiaro. Nei tre anni di massima applicazione del Superbonus il Pil è cresciuto del 13,2%, il debito/Pil è calato di 17,6 punti, le entrate fiscali sono aumentate di 140 miliardi, non c’è stato nessun osservatore che abbia denunciato presunti buchi di bilancio, nessun effetto negativo sullo spread. Ora invece siamo alla crescita zero, al crollo della produzione industriale, al record della povertà assoluta, all’incapacità di spendere i soldi del Pnrr”.
Le politiche delle destre sono state fallimentari, ripete il M5S. Quali indicatori per lei sono più evidenti per certificare il flop?
“Gli elementi più gravi sono la crescita allo zero virgola, i 12 mesi consecutivi di crollo della produzione industriale, i 5,7 milioni di persone in povertà assoluta, il calo del potere d’acquisto delle famiglie, la subalterna accettazione di un Patto di stabilità lacrime e sangue, il taglio delle pensioni, il definanziamento della sanità pubblica, il taglio degli investimenti, il mancato contrasto dell’inflazione che si è trasformata in una vera tassa che ha colpito i ceti più fragili”.
Da Mps alle Poste. Che pensa del piano di privatizzazioni del governo?
“Con lo scellerato piano di privatizzazioni il Governo certifica il ritorno all’austerity e finge di voler abbattere il debito pubblico per fare regali a qualche operatore internazionale. Dal 1992, ovvero dall’apertura della grande stagione delle privatizzazioni, il debito pubblico italiano è sempre aumentato, mentre il Paese si è impoverito. Il debito pubblico si riduce con la crescita, non con l’ingegneria finanziaria utile agli amici, giocata sulla pelle degli italiani. Pensiamo a Poste: lo stesso ministro Giorgetti, davanti al Parlamento, ha ammesso che il trade off innescato dall’operazione, ovvero la differenza tra minori oneri sul debito pubblico e rinuncia ai dividendi futuri, è negativa per lo Stato. Aggiungiamoci gli enormi rischi che corrono la distribuzione territoriale del servizio postale e la cospicua fetta di risparmio degli italiani detenuta proprio dalla società, in grado di ingolosire fondi di ogni tipo. I sovranisti alla vaccinara, dopo la pietosa e allarmante arrendevolezza mostrata sulla rete unica delle telecomunicazioni, lasciata alla mercé di fondi esteri, smantella un altro asset nazionale dopo aver detto l’esatto contrario in tanti anni di ipocrita e teatrale opposizione. La verità ormai è sempre più nitida: l’unica vera preoccupazione del duo Meloni-Giorgetti è quella di accreditarsi presso i mercati finanziari”.
Ex Ilva e poi l’automotive, scontiamo l’assenza di una politica industriale?
“Sull’Ilva siamo al nulla, non esiste uno straccio di progetto di risanamento e di riconversione del territorio, ci si appella a una futura e non meglio specificata gara per consegnare l’acciaieria al prossimo investitore, sempre se ci sarà, magari estero, senza nessun piano di decarbonizzazione e riconversione, incuranti dei problemi ambientali e sanitari. Sull’automotive vale lo stesso discorso: prima si dice no alla Via della Seta, poi quando Stellantis viene a minacciare la chiusura di stabilimenti in Italia se non ci saranno ingenti incentivi pubblici, il ministro Urso corre in Cina a trattare con produttori di quel Paese. Oppure si punta l’indice contro le auto elettriche e poi per evitare la desertificazione produttiva in Italia il Governo va in ginocchio da Elon Musk. Dove è la coerenza? Non c’è. Questo governo ha già ampiamente dimostrato tutta la sua incapacità di governare il Paese”.