Le 48 ore di tempo che si erano dati per uscire dalla tragicommedia del nome “unitario” da offrire alla coalizione stanno passando. Il Pd in Lombardia non riesce a trovare la quadra tra Pierfrancesco Majorino, Fabio Pizzul, Simona Malpezzi, Stefania Bonaldi e Antonio Misiani mentre Pierfrancesco Maran insiste nel valutare come “unico scenario” le primarie che considera un passaggio obbligato.
Sinistra bloccata sui nomi per la corsa al Pirellone. E un sondaggio anticipa la débâcle per il dopo Zingaretti
Durante la giornata è tornato alla ribalta anche sul nome di Lia Quartapelle ma la deputata non ha nessuna intenzione di entrare nell’agone, confermando il suo sostegno a Maran. “Non è piacevole ogni giorno leggere sui giornali e sui media di quest’impasse – ha detto il sindaco di Milano Giuseppe Sala -. Quello che mi dicono dei partiti è che sono vicini a una conclusione e quindi a una scelta”.
Anche perché nel frattempo la coalizione si fa sempre più piccola e difficile. Lombardi Civici Europeisti propongono Bruno Tabacci (a cui non si nega mai una candidatura a qualsiasi cosa), Sinistra Italiana e Verdi per ora stanno alla finestra. Il M5S intanto nega qualsiasi accordo sull’opzione Majorino e riporta la scelta di Giuseppe Conte che vorrebbe convergere – nel caso in cui si trovi un accordo con il Pd – su un nome terzo. Ipotesi, questa, che rimetterebbe tutto in discussione e a cui si aggiungerebbe la complicazione di +Europa che ribadisce di non voler fare parte di un’alleanza che comprenda i pentastellati.
Insomma, il caos. Per questo il segretario regionale Vinicio Peluffo vuole in giornata trovare una soluzione, qualunque sia: un nome da offrire agli alleati e che provi a dialogare con il Terzo polo oppure primarie veloci da approntare in fretta e furia. La coalizione, tutt’altro che larga, è molto meno scontato di quello che si crede. Oggi alla fine si arriverà a un nome che sarà con ogni probabilità proprio l’eurodeputato dem Pierfrancesco Majorino.
Nel Lazio invece fa discutere il sondaggio realizzato dall’istituto Izi
Nel Lazio invece fa discutere il sondaggio realizzato dall’istituto Izi fra il 12 e il 14 novembre su un campione di mille intervistati che certifica come l’assenza di un solo partito dalla coalizione larga determinerebbe la sicura vittoria della destra nel dopo-Zingaretti. Una destra che può permettersi perfino il lusso di non correre troppo per scegliere un nome (alla fine dovrebbe essere il meloniano Rampelli) e che costringe a una seria riflessione la coalizione da affiancare al candidato scelto da Partito Democratico e Terzo polo Alessio D’Amato (nella foto).
“Con quei numeri si vede che la partita è persa e i cittadini progressisti, democratici e ecologisti del Lazio devono rassegnarsi a vedere trionfare la destra. Giustamente gli girano le scatole. Come girano pure a noi”, scrive su Facebook il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni che lancia un invito: “Si azzeri tutto, si riapra un tavolo di confronto sui temi – scrive Fratoianni – senza primogeniture e senza l’ossessione di piantare bandierine o fare i primi della classe. Altrimenti l’esito è segnato”.
D’Amato assicura che sulla sua candidatura non ci sia “l’ombra di Calenda” ma appare evidente che il suo nome escluda di fatto i 5S dalla possibile coalizione. Troppo difficile ricomporre l’asse giallorosso (tra l’altro con Enrico Letta segretario, seppur dimissionario) in così breve tempo, con in mezzo ancora la spinosa questione del termovalorizzatore e con Renzi e Calenda che fanno di tutto per “marchiare” la candidatura di D’Amato. “Una coalizione la più ampia possibile che da domani deciderà anche sia gli aspetti programmatici che le modalità”, dice D’Amato ma il copione sembra già scritto.