A poche ore dal clamoroso fallimento delle trattative per fare luce sulla morte di Giulio Regeni, cominciano ad emergere dettagli che lasciano sbigottiti. Secondo la ricostruzione che fa Repubblica, il pool dei magistrati egiziani sapevano benissimo che il vertice sarebbe fallito. E allora tanto vale godersi quei momenti come vera e propria vacanza: ottimi cibi, bis di primi. Per il lavoro c’è tempo. Un lavoro troppo stirminzito. Perchè avevano, furbescamente, fatto annunciare un dossier da duemila pagine, tanto che, continua Repubblica, Giuseppe Pignatone e i suoi avevano fatto preparare una squadra di 30 interpreti. Alla fine il procuratore generale aggiunto del Cairo Mostafa Soliman, il suo giovane addetto alla cooperazione Mohamed Hamdy, i generali Adel Gaffar, Mostafa Meabed, Ahmed Aziz e Alaa Azmi, hanno portato una relazioncina di neppure una trentina di pagine. Gli inutili tabulati telefonici di Gennaro e Francesco, gli amici di Giulio. L’altrettanto inutile verbale di ritrovamento del suo cadavere. Il grottesco verbale con cui, un testimone, riferiva che “non erano state fatte riprese della riunione sindacale dell’11 dicembre 2015”, quella in cui Giulio era stato fotografato. Fuffa.
I DATI CHE MANCANO – Tocca allora a Pignatone chiedere di nuovo quanto era stato promesso dalla Procura generale egiziana: lo sviluppo della cella telefonica del quartiere di “Dokki” (luogo della scomparsa di Giulio) tra le 19,45 e le 20.15 del 25 gennaio e di quella, tra la notte del 2 e la mattina del 3 febbraio, del quartiere “6 Ottobre” (zona del ritrovamento del suo corpo). Ma solo per sentirsi rispondere che quei dati non saranno mai consegnati “per ragioni di privacy “. Un’assurdità clamorosa. Ma tant’è. Il Regime militare di Al Sisi invoca il “rispetto dell’articolo 57 della Costituzione che protegge il segreto delle comunicazioni dei suoi cittadini”. E che dire dei tabulati? Ne aveva chiesti una ventina la Procura. Due su tutti. Quelli di Mohamed Abdallah, capo del sindacato degli ambulanti risentito con Giulio per il denaro di una ricerca non andata in porto. E quelli di Mohamed, il coinquilino di Regeni. Quello che aveva aperto alla Sicurezza Nazionale la casa dove Giulio viveva, tacendogli la circostanza. Ma neanche quelli sono nella borsa dei 6 del Cairo. “Magari, allora, avete le informazioni su quei due nomi arabi che vi abbiamo chiesto il 14 marzo… “, abbozza uno dei nostri inquirenti secondo la ricostruzione di Repubblica, riferendosi a due singolari chiamate ricevute da Giulio la mattina e il pomeriggio del 25 gennaio, giorno della sua scomparsa, da due cellulari intestati a cittadini egiziani. “Non abbiamo ancora completato l’identificazione “, è la risposta.