L’idea del centrodestra è quella di neutralizzare il referendum sulla sanità proposto a fine luglio scorso, facendo votare l’ammissibilità dello stesso in aula nella seduta convocata per oggi, dove la maggioranza conta di affossarlo. Ma il presidente dell’assemblea, Federico Romani (FdI) e il consiglio regionale sono stati richiamati al rispetto della legge dalle associazioni che fanno parte del Comitato promotore.
La proposta di Referendum per abolire la riforma della sanità Maroni-Moratti è in stallo. Grazie alla melina della maggioranza al Pirellone
In base al regolamento, se la proposta verrà bocciata (è necessario che si esprimano per la bocciatura almeno 41 consiglieri regionali, la maggioranza assoluta degli aventi diritto), si verificherà quello che il capogruppo Pd in Regione, Pierfrancesco Majorino, etichetta come un “atto grave di arroganza politica, un bavaglio inaccettabile ai cittadini che hanno diritto di esprimersi su un tema fondamentale per la loro vita” e “una forzatura della legge che aprirebbe la strada a ricorsi”.
Secondo il comitato promotore, l’Ufficio di Presidenza non ha rispettato in più punti le normative previste dalla legge n.34/1983, che detta le “Nuove norme sul referendum abrogativo della regione Lombardia”. Al centro della proposta di referendum (sottoscritta da 100 promotori, è stata depositata al Protocollo della Regione il 27 luglio), il nodo cruciale dei rapporti pubblico-privato nella sanità. I quesiti abrogativi riguardano tre punti della legge regionale firmata da Roberto Maroni nel 2009, fino ad arrivare alle modifiche introdotte nel 2021 dalla riforma Moratti.
I quesiti riguardano l’equivalenza pubblico-privato e l’estensione delle funzioni e dei servizi che il pubblico può delegare al privato rispettivamente da parte delle Ats e delle Asst. “L’abrogazione di questi passaggi”, spiegano i promotori, “ha l’obiettivo di riportare al pubblico la funzione di programmazione, di controllo pieno dell’erogazione dei servizi a partire da quelli di prevenzione, garantendo universalità di accesso, gratuità e partecipazione” Dopo la decisione dell’Ufficio di Presidenza, il 25 agosto, di rinviare al Consiglio Regionale, nella seduta del 12 settembre, la decisione sulla ammissibilità dei quesiti referendari proposti, Medicina democratica, Cgil Lombardia e Spi Cgil (tra i promotori, insieme ad Acli e Arci dei quesiti referendari) hanno richiesto le motivazioni tecniche di una decisione definita “pilatesca”, senza ottenere alcuna risposta.
La richiesta di documentazione aveva l’obiettivo di comprendere le ragioni di questa decisione, anche perché, nella delibera si richiama un “approfondimento effettuato dal Servizio legislativo e legale”, di cui non è stato fornito il testo, pur essendo stato richiesto. “Si tratta di una violazione sostanziale di un diritto, indicato nella legge regionale 34 del 1983 sui referendum abrogativi, che prevede una valutazione giuridica e, in caso di parere negativo, lo svolgimento di un confronto con i promotori sui motivi ostativi. Invece, nessuna motivazione tecnica, nessuna risposta è stata data alle nostre richieste di chiarimenti”, dicono.
Pioggia di critiche dai sindacati a Medicina democratica. Ma i privati sono blindatissimi
“Il referendum”, sottolinea Federica Trapletti, segretaria regionale dello Spi-Cgil, “è uno degli strumenti a cui intendiamo ricorrere per innescare un cambiamento nel sistema sanitario lombardo. Si inserisce nel percorso avviato unitariamente quattro anni fa che ci ha visto presentare piattaforme, scioperare e mobilitarci insieme a migliaia di cittadini”. Per Vittorio Agnoletto, responsabile dell’Osservatorio Salute, “è necessario ridurre i finanziamenti alle strutture private aumentando quelli alla strutture pubbliche per evitare che, con l’avanzata del privato dentro il Servizio Sanitario Regionale, il cittadino sia privato dell’assistenza sanitaria. Se il pubblico finanzia il privato, deve poi controllarne l’operato”.