Avrebbe dovuto essere un referendum per il Paese senza bandiere di partito. Ma è diventato un voto politico. Una testa d’ariete in mano alle opposizioni per tentare l’ennesima spallata al governo. A prescindere dalle fragili ragioni del No (leggi l’articolo) che lo hanno animato. Basta, del resto, ricordare come si è arrivati alla consultazione che tra oggi e domani rimetterà il destino della riforma che taglia il numero dei parlamentari da 945 a 600 in mano agli italiani.
Chiamati alle urne non certo a furor di popolo (non sono stati i cittadini a raccogliere le 500mila firme previste dalla Costituzione) ma per iniziativa di 71 senatori (poco più di “un quinto dei membri di una Camera” a norma dell’articolo 138) appartenenti in gran parte agli stessi partiti che, nella quarta e decisiva votazione a Montecitorio, dove il taglio era passato con una maggioranza bulgara di 553 voti a favore, avevano dato il via libera alla riforma. Un caso di sdoppiamento della personalità (politica) sotto la regia di Forza Italia (42 firmatari su 71), con la partecipazione di un manipolo di ex M5S, qualche dissidente, ammennicoli vari del Misto, e, soprattutto, con il soccorso decisivo di 9 parlamentati della Lega.
Cioè del partito che non solo ha votato per quattro volte la riforma alla Camera e al Senato, ma l’ha persino proposta e condivisa con i Cinque Stelle ai tempi della maggioranza gialloverde. Ecco, basterebbe ricordare questo passaggio, unitamente alla debordante campagna per il No, sostenuta a rotative unificate (salvo rare eccezioni) dalla grande stampa italiana, contrastata a viso aperto e con coerenza solo dal Movimento 5 Stelle, per giustificare una mobilitazione contro l’ultima trincea della vecchia politica pontifica di cambiamento mentre lavora per affossarlo.
Certo, il taglio dei parlamentari non passerà alla storia come la madre di tutte le riforme. Ma è sicuramente un’opportunità per iniziare un percorso graduale di rinnovamento dell’assetto istituzionale del Paese senza snaturare la Costituzione, come hanno provato a fare le pessime riforme di sistema vergate dai governi Berlusconi (prima) e Renzi (poi). Entrambe, non a caso, bocciate dagli italiani. Un’occasione appesa, però, anche all’incognita dell’astensionismo. Che mai come stavolta rischia di rivelarsi il più formidabile alleato del fronte del No. La partita si gioca nei seggi. Per vincerla basta partecipare.