Al via i referendum voluti da Mosca nelle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e nei territori occupati per entrare a far parte della Russia.
Ma se da un lato l’ex presidente russo Dmitry Medvedev ha dichiarato la “protezione” del voto “qualsiasi arma russa, comprese le armi nucleari strategiche” dall’altro lato il governatore ucraino in esilio di Lugansk, Sergey Gaidai, dipinge una situazione al limite della violenza: “Gli occupanti russi hanno organizzato gruppi armati per circondare le abitazioni e costringere le persone a partecipare al cosiddetto ‘referendum’” e “coloro che non parteciperanno alla votazione verranno automaticamente licenziati dal lavoro”.
La sceneggiata
Insomma siamo davanti a un’elezione che non ha nulla di democratico tanto che dagli Stati Uniti l’amministrazione di Joe Biden ha già fatto sapere che non riconoscerà l’esito della convocazione popolare farsa. Come se non bastasse, secondo quanto raccontato sempre da Gaidai le autorità russe avrebbero vietato alla popolazione locale di lasciare la città tra il 23 e il 27 settembre”, data di chiusura del voto.
Denunce rimbalzate dalla presidente del Consiglio della Federazione russa Valentina Matviyenko, che ha al contrario dichiarato che i referendum “sono conformi alle norme internazionali e alla Carta delle Nazioni Unite”, e che “si svolgeranno in modo tale che nessuno avrà motivo di mettere in dubbio la legittimità”.
Si salvi chi può
Come se non bastasse l’annuncio della parziale mobilitazione continua a creare caos negli aeroporti e sui confini. Sarebbero circa 70 mila gli uomini fuggiti dalla Russia o che stanno escogitando un piano di fuga: è la stima dell’organizzazione non governativa Guide to the Free World che aiuta i russi che si oppongono alla guerra a lasciare il Paese.
La presidente Ira Lobanovskaya ha spiegato che il sito web dell’ong è stato visitato più di 1,5 milioni di volte dal momento del discorso di Putin sulla mobilitazione parziale. La Guardia di frontiera finlandese intanto ha reso noto che il traffico al confine orientale continua a essere vivace: quasi 6mila russi sono arrivati nel Paese giovedì rispetto ai 5mila di mercoledì.
Rispetto ai Paesi vicini alla Federazione, il traffico sul confine finlandese è limitato dal fatto che i russi hanno bisogno di un visto per entrare nel Paese. Lunghe code di cittadini russi anche al confine con la Georgia per entrare nel Paese e sottrarsi alla mobilitazione, anche in bicicletta. C’è chi ha atteso dalle 9 del mattino fino a sera per poter passare il confine ed eludere così il divieto di attraversamento a piedi.
Rimedi fai-da-te
Come se non bastasse c’è chi propone di rompere una mano in maniera indolore, in cambio soltanto di 1.500 rubli (meno di 25 euro), obiettivo: fuggire al reclutamento nell’esercito russo. Sulla rete, infatti, è esplosa la ricerca sui possibili modi per lasciare la Federazione Russa.
Una situazione complessa che rischia di rovinare i piani di reclutamento del Cremlino. Per questo il il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill è intervenuto per invitare i fedeli ad agire con coraggio: “Dovete compiere il vostro dovere militare. E ricordate che se morite per il vostro Paese, sarete con Dio nel suo regno di gloria e vita eterna”.
Lo zar è solo
Insomma ne viene fuori un Paese da cui si tenta disperatamente la fuga mentre al comando rimane un uomo solo che si sente abbandonato dai suoi fedelissimi, molti dei quali sono stati sostituiti in questi mesi di conflitto, e perfino dai suoi alleati, come emerso prima con l’India e dopo con la Cina.
Così Putin è finito per essere ostaggio del suo stesso personaggio vigoroso, risoluto e pronto a tutto pur di vincere, al punto da apparire incapace di trovare una via d’uscita che non sia quella di continuare a combattere la sua “operazione speciale”, alzando sempre più la posta in gioco anche paventando il ricorso al nucleare.